martedì 3 gennaio 2017

LA LETTERA DI UNA LAVORATRICE ALMAVIVA

Egregia Viceministra Teresa Bellanova

Sono una LICENZIATA  Almaviva, una dei 1666, a breve compirò cinquantun’anni. Non tema, non sono qui a rivolgerle la classica supplica, tra l’altro non è la madonna di Pompei che, a crederci, forse sarebbe riuscita a fare qualcosa di diverso per quelli come me. Le scrivo perché, in seguito alla fine della vertenza che ha prodotto 1666 lettere di licenziamento, sento la prepotente necessità di interpretare, decodificare e spiegare le ragioni di noi lavoratori ma anche, e soprattutto, farle delle domande, cercare di comprendere perché la politica abbia consentito tutto questo.
Del mio ex-datore di lavoro non vorrei parlare. In fondo l’imprenditore non è che un incrocio tra un istrione e un camaleonte, pronto a piangere miseria sia nei periodi buoni sia nei cattivi. È il Padrone, anche se nella forma parole del genere sono state abolite dal nostro vocabolario nella sostanza ci sono rimaste e con radici profondissime. Il profitto è il suo unico scopo e, per quanto vergognose, le sue richieste, destituite di etica, buonsenso e umanità, esprimono una volontà comprensibile considerandone la provenienza. È come pretendere dal lupo di diventare vegetariano, oltretutto da un lupo giovane e anche un po’ pigro che fino a oggi ha beneficiato di bocconi facili, in una sorta di riserva naturale in cui il “foraggio” gli è stato fornito a ogni ululato, a ogni ringhiosa minaccia. Ci sarebbe poi da riflettere sull’eventualità che questo lupo sia stato realmente nutrito per salvare le pecore o per salvare lui solo, in quanto componente di un “branco” non meglio identificato.
Altro velo pietoso ma direi più una densa, spessissima coltre, è quella che bisogna stendere sui sindacati confederali, che in barba alla loro stessa essenza di paladini dei lavoratori hanno creato le condizioni ideali perché questo scempio giungesse a compimento. Un lento lavorio che si compie da anni, un fenomeno carsico che sta erodendo pian piano ogni diritto e che anche lo scorso 22 dicembre è stato fedele a sé stesso. Per loro davvero non ci sono parole!

E IL GOVERNO?
Quest’ultima vertenza è nata male e ha partorito mostri della cui nocività sarà difficile stabilire la portata. Le ho già detto che ho cinquant’anni e un po’ di memoria storica. Nel paese in cui sono nata, nel lontano 1966, le richieste di un Marco Tripi sarebbero state considerate inaccettabili. Nel paese in cui sono nata e cresciuta non si sarebbe consentito a un’azienda di affamare i propri dipendenti come è successo a noi che dopo la stabilizzazione saremmo dovuti passare, tutti, a sei ore (accordo mai rispettato!). O crede che ci siano persone contente di fare settanta chilometri al giorno per poco più di 600 euro al mese? Nel paese in cui sono nata e cresciuta la richiesta di bloccare gli scatti di anzianità, di azzerare i livelli, di applicare il controllo individuale sarebbe stata irricevibile. E lei è la rappresentante di un governo di sinistra?! È stata sempre presente, sin dal primo giorno in questa vertenza ma con quale scopo, quale obiettivo?! A parte la proposta “ a scatola chiusa” sulla quale non mi soffermo, quali erano concretamente le sue intenzioni? Non sente di aver fallito? Non crede di doverne rispondere?
Lo sconforto è vedere che alla fine si sta realizzando il vaticinio di George Orwell, e allora visto che ci troviamo, legittimate il Grande Fratello nelle aziende, introducete l’ipnopedia negli asili nido, sottoponete tutti a test di valutazione del Q.I. e gli scemi metteteli tutti nei call-center! Le sembro eccessiva? Ci rifletta, è quello che sta succedendo e lei ne è complice. Nemmeno nel peggiore dei miei incubi avrei potuto vedere un governo scendere a patti così scellerati. Addirittura il nostro NO lo avete considerato da irresponsabili?! Secondo lei, allora, qual è il senso di responsabilità? Ha affermato che il nostro era un NO ideologico. Noi siamo stati ideologici? Lei di certo non ha avuto un comportamento ideale. Con quel termine ha voluto dire che la nostra chiusura è stata condizionata da idee preconcette. Cosa c’era di preconcetto nel nostro NO? Forse non sapevamo a che tipo di fine saremmo stati destinati, perciò ci ha definiti irresponsabili? Forse qualcuno, a partire da lei, ci aveva prospettato qualcosa di diverso dalla nostra totale riduzione in schiavitù? Avevamo tutti gli elementi per fare delle valutazioni e il NO è scaturito da un giudizio non da un pre-giudizio. I conti li abbiamo fatti e non tornavano e non stia a guardare quelli che poi hanno virato verso un sì tardivo quanto infamante, sono da comprendere e dovrebbero essere ancor più messi sotto l’egida di un garante che, ahimè, è mancato.
A cosa servirà per i colleghi di Napoli questa proroga fino a marzo? Lo sa che per molti (anche per coloro che hanno votato “sì” al referendum) questo procrastinare sottende la speranza di andare a casa con un ammortizzatore, con delle tutele maggiori rispetto al nulla che ci è stato riservato? O crede che ci siano tanti cretini disposti a finire nelle fauci dell’imprenditore di cui sopra, pronto a mettere le mani su una classe di lavoratori negletti e annichiliti?
In un mondo ideale ( E NON IDEOLOGICO!) questa storia avrebbe visto un governo che avrebbe innanzitutto ponderato la liceità delle posizioni dell’azienda e, dopo il “gran rifiuto” fatto per tutto tranne che per viltà (e Dante mi perdoni se lo porto in un inferno molto meno appassionante del suo), si sarebbe fatto carico dei lavoratori con degli ammortizzatori validi traghettandoli verso altre opportunità attraverso percorsi di formazione e riqualificazione professionale.
Anche la mente più ideologica, con tutti i pregiudizi del caso, non sarebbe stata in grado di prevedere quello che è accaduto. Milleseicentosessantasei persone buttate in strada con l’avallo del governo e dei sindacati nazionali. Lo scrivo perché devo leggerlo per crederci.
Avrebbe dovuto fargli chiudere i battenti, avrebbe dovuto mandare i nostri imprenditori a fare i negrieri in altri paesi, avrebbe dovuto agire come se l’Italia fosse un paese civile, anche lei avrebbe dovuto dire NO e si sarebbe dovuta occupare delle pecore, essere il nostro pastore e fare fuori il lupo. Invece non è andata così!
Come faccio a farle capire con quante altre voci potrebbero essere pronunciate le parole che ho scritto finora? Immagini un coro di 1666 persone, immagini che ognuno sia un solista, ci metta in un teatro…non si sente nulla, ci hanno fatto tacere e lei ha fatto buio in sala, rendendoci anche invisibili.


una lavoratrice licenziata Almaviva

* Ripresa e pubblicata su cortesia della redazione di contropiano *

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