E’ veramente
stupefacente che pur disponendo di sofisticate automazioni e di complessi
algoritmi d’intelligenza artificiale gli esseri umani dedichino ancora così
tanto tempo al lavoro.
Ancor più
sensazionale però, è il fatto che gli stessi lavoratori temano a tal punto di
rimanere disoccupati, da sperare che i processi produttivi non vengano
automatizzati.
Ma il colmo
dei colmi è che anche i lungimiranti sindacalisti, che in teoria dovrebbero
prodigarsi per tutelare i lavoratori, accettino l’automatizzazione consapevoli
del fatto che comporterà un esclusivo vantaggio per gli sfruttatori o ripudino
anch’essi l’avvento delle automazioni, invece di organizzare una ben più
desiderabile alternativa, nella quale i moderni mezzi produttivi, strappati dal
dominio de capitale, siano finalmente impiegati per ridurre il lavoro umano,
pur assicurando un reddito decoroso ai lavoratori.
E’ del tutto
evidente che anche il sindacato sta dalla parte dei capitalisti e ne
rappresenta un braccio operativo, il cui compito è fare in modo che i
subordinati tollerino la moderna schiavitù lavorativa, servendo i loro padroni
senza fiatare e accontentandosi delle briciole, invece d’ambire
all’emancipazione ed alla libertà come dei veri rivoluzionari.
Chiunque
afferma di voler difendere il “diritto al lavoro” fa riferimento al primo
articolo della costituzione italiana, dimenticandosi puntualmente di tutelare
il “diritto alla felicità”, che invece è il vero diritto sul quale si dovrebbe
fondare la costituzione di ogni paese del mondo.
Molte pagine
della costituzione puzzano di preti e di capitalisti. Leggendole ci si accorge
che sono state scritte in modo tale da curare gli interessi del potere nelle
sue molteplici forme, che da sempre ha un gran bisogno di schiavi acritici,
docili ed ubbidienti, disposti a sacrificare la propria vita per soddisfare le
esigenze di profitto dei propri sfruttatori.
Per ottenere
tal fine in passato il potere ricorreva all’azione coercitiva diretta della
forza; poi ha intuito che per fare in modo che gli esseri umani si procurino
autonomamente il proprio asservimento, non c’è strategia più efficiente di far
credere loro che lavorare sia un diritto sacrosanto, sancito addirittura dalla
costituzione, con tanto di sindacalisti che si battono per difendere
l’opportunità di essere un moderno schiavo.
Serve
inoltre un apposito sistema scolastico che manipoli le menti delle nuove
generazioni allontanandole dall’esercizio dello scetticismo e del libero
pensiero, sostenendo che sia giusto e doveroso sacrificare il tempo della vita
per un lavoro insensato e disumano.
il sistema
insegna agli individui ad essere i guardiani di sé stessi, carcerati che dopo
essersi rinchiusi autonomamente in cella, agiscono affinché anche tutti gli
altri subiscano la medesima sorte. Il gregge deve schernire, avvilire, punire e
isolare le pecore nere che ripudiano la moderna schiavitù del lavoro, quelli
che ancora riescono a sognare ed inseguire la libertà.
E’ così che
si realizza un contesto socio-culturale ricco d’individui non pensanti, pronti
per essere utilizzati nelle fabbriche e nelle aziende.
Se tutto ciò
poi non dovesse bastare, il tipico ricatto capitalistico che costringe a
procurarsi il denaro per non morire di fame, sarà sufficiente a riportare sulla
retta via quella sparuta minoranza d’individui che sono riusciti a mantenere
intatte le loro capacità cognitive: quella dell’asservimento nei confronti del
capitale.
Il sistema
trasforma gli esseri umani in automazioni che svolgono il lavoro al posto delle
vere macchine, sperimentando un’esistenza insensata in quella che potremmo
definire, senza esagerazioni, una follia sociale, nella quale l’alienazione
dovuta ad un lavoro totalizzante diviene un’auspicabile ambizione.
Ma il
sindacato incalza, bisogna garantire a tutti un lavoro a tempo pieno, perché il
lavoro è dignità, il lavoro rende liberi… esattamente come riportava quella
scritta realizzata in ferro battuto posta all’ingresso di uno dei più famosi
campi di concentramento tedeschi.
Il punto
nodale non è dare a tutti un lavoro a tempo pieno, ma fare in modo che ogni
essere umano sia messo in condizione di vivere felicemente la propria
esistenza, e si dà il caso che per essere felici bisogna innanzitutto essere
liberi.
Per quanto
il sistema s’impegni per farci credere il contrario, trascorrere 10-12 ore al
giorno all’interno di un’azienda per guadagnarsi da vivere (considerando
spostamenti, straordinari e pause pranzo lontano da casa), non significa essere
liberi ma essere schiavi.
Se a causa
dei vincoli imposti dal lavoro non siamo nemmeno padroni del nostro tempo, come
possiamo sostenere di essere liberi?
C’è
dell’altro. Siamo naturalmente incompatibili con il grigiore, gli obblighi e le
costrizioni spaziali delle aziende, perché ci siamo evoluti per centinaia di
migliaia di anni tra il verde delle foreste, la più totale libertà e l’assenza
di ogni tipo di confine, al di fuori d’un limpido cielo blu.
Per questo
il lavoro demandato dai padroni ai propri dipendenti, che guarda caso quegli
sfruttatori si guardano bene dal compiere in prima persona, induce problemi
psico-fisici di ogni genere.
L’odierna
concezione di lavoro è antitetica al raggiungimento della felicità per gli
esseri umani, semplicemente perché il lavoro non è organizzato pensando a quel
fine, ma per curare gli interessi del capitale, vale a dire “potere e
profitto”.
Il capitale
ha sostanzialmente bisogno di due categorie di persone: lavoratori a buon
mercato per ridurre i costi di produzione, e persone infelici con un certo
reddito, disposte a consumare in modo compulsivo.
Il
lavoratore a tempo pieno, che pensa di essere un benestante, in virtù della
violenza dovuta alla costrizione di compiere azioni ripetitive e noiose contro
la sua natura-volontà, prima o poi, diverrà stressato ed infelice, e così
tenderà a colmare il suo vuoto esistenziale sperperando futilmente il denaro
che ha guadagnato sacrificando stupidamente la sua vita; ma così facendo si
ritroverà di nuovo senza denaro e dovrà continuare a lavorare.
D’altro
canto il disoccupato, che vive perennemente in preda alla disperazione dovuta
al fatto di non riuscire a trovare un lavoro, prima o poi, pur di racimolare
qualche soldo che gli servirà per sostentarsi (o poco più), diverrà sempre più
disposto a schiavizzarsi a qualsiasi condizione lavorativa; ma cedendo ai
ricatti del capitale trascinerà verso il basso diritti e salari dell’intera
classe che è costretta a subordinarsi per vivere.
Ecco
spiegato il perché da una parte il sistema costringe le persone a lavorare a
ritmi frenetici per tutto il giorno e dall’altra tollera che ci sia
disoccupazione e precariato: sono entrambi degli ottimi strumenti per
disciplinare i lavoratori e condizionare i consumatori.
Viviamo nel
tempo in cui le macchine stanno iniziando a pensare, e la cosa più intelligente
che l’essere umano medio riesce a concepire è quella di aspirare ad un lavoro
totalizzante per sé e per l’intera umanità, nonostante gli odierni apparati
tecnologici potrebbero tranquillamente svolgere quei compiti al posto loro in
modo autonomo.
Abbiamo
mezzi e conoscenze per assicurare il benessere collettivo ma continuiamo a
vivere in una società dove regnano sofferenza, povertà e l’odiosa schiavitù
dovuta al lavoro.
Diciamolo
chiaramente: stiamo sfruttando le potenzialità delle moderne conoscenze
scientifico-tecnologiche come farebbero dei perfetti idioti:
è
esattamente come se i contadini del passato avessero rigettato l’uso
dell’aratro tirato dai buoi per paura di perdere il loro lavoro, che consisteva
nel dover arare a mano i campi.
Non ci sono
casse automatiche nei supermercati ma commesse che sprecano la loro vita
davanti ad una calcolatrice semi-automatica, che dicono anche di essere grate
per questo, perché altrimenti resterebbero senza uno stipendio.
Abbiamo
mezzi e conoscenze per eliminare (o quasi) l’obbligo del lavoro umano, pur
consentendo a tutti di avere disponibilità di beni e servizi di elevata
qualità, gratis, è solo che a forza di pensare che l’unica via sia quella di
trovare soluzioni al fine di lavorare per forza, lavorare di più, e quindi
creare più lavoro, siamo diventati ciechi a tutte le altre possibilità che, a
ben pensare, sono addirittura di gran lunga superiori.
Non si
tratta di aumentare il lavoro per garantire un’occupazione a tempo pieno per
tutti, ma di aumentare l’efficienza diminuendo il lavoro umano scaricandolo
sulle macchine ambendo, in prospettiva, alla piena dis-occupazione, pur
fornendo a tutti beni e servizi gratis. Per quanto strana possa apparire questa
idea, tutto ciò oggi è fisicamente realizzabile e quindi possibile.
Allora
perché le macchine ci appaiono così tanto minacciose?
Il fatto è
che l’attuale sistema economico non è in grado di distribuire a vantaggio di tutti
gli incrementi d’efficienza dovuti all’automatizzazione dei processi
produttivi.
Se
immaginiamo d’introdurre in una fabbrica un braccio robotico in grado di
compiere il medesimo lavoro di 20 esseri umani, non è che il lavoro degli
operai diminuisce in qualche misura mantenendo il loro stipendio costante, al
contrario, il capitalista licenzia i lavoratori in eccesso e mantiene il
profitto per sé, mentre tutti gli altri continuano a lavorare 8 ore esattamente
come prima.
Bene che
vada, se il capitalista intuisce che ci sono spazi per vendere più prodotti sul
mercato, può scegliere di aumentare la produzione sfruttando la maggiore
efficienza dovuta alle macchine, così facendo non si crea disoccupazione, ma
ancora una volta l’orario di lavoro resta invariato ed il profitto finisce
nelle sue tasche, invece che in quelle dei lavoratori.
I
disoccupati dovranno trovarsi un nuovo lavoro che però, a causa delle
automazioni, tende a diminuire sempre più. Si chiama fenomeno della
disoccupazione tecnologica.
Senza
applicare alcuna contromisura sempre più persone resteranno per forza di cose
disoccupate perché, in futuro, le macchine svolgeranno una quota sempre
maggiore di lavoro al posto degli esseri umani.
A questo
punto interviene la soluzione classica che prescrive di creare più lavoro per
ridurre nuovamente l’intera umanità in schiavitù, invece di sfruttare le
potenzialità della tecnologia in modo intelligente per assicurare a tutti
libertà e abbondanza.
Per far ciò
l’economista classico, che ha studiato solo questa tecnica ed ha una mente così
arrugginita che non gli consente di concepire soluzioni alternative, consiglia
immancabilmente di spingere sulla crescita dell’economia, costi quel che costi,
una strategia che crea più danni che guadagni.
Qualora il
piano riuscisse, contribuirebbe ad inquinare l’ambiente, consumare risorse e a
mantenere in condizione di schiavitù lavorativa l’intera umanità, non perché ce
ne sia una reale necessità, ma perché l’odierno sistema economico funziona
così, e quindi decidiamo stupidamente di mantenerlo in essere invece di
cambiarlo, conservando tutte le sue storture e inefficienze.
(Gli
economisti classici hanno studiato questa strategia in tutte le università del
mondo, non sarete mica così pazzi da rimettere in discussione questa verità di
fede?!?)
Si capisce
quindi perché l’introduzione delle automazioni rappresenti un gravoso problema
invece che un’augurabile soluzione:
anziché
indurre una qualche diminuzione dell’orario di lavoro a stipendio costante
(cosa fattibile visto che lavorano le automazioni al posto degli operai ma il
profitto c’è lo stesso, al netto dei costi d’ammortamento dei macchinari), la
maggiore efficienza dovuta alle macchine si trasforma in disoccupazione per i
lavoratori e maggior profitto per una minoranza d’individui, vale a dire i
proprietari dei mezzi di produzione.
Ma allora,
in modo altrettanto banale, si comprendono anche le soluzioni al falso problema
dovuto all’utilizzo delle automazioni:
1)
l’introduzione di una maggiore efficienza non deve significare licenziamenti ma
diminuzione obbligatoria dell’orario di lavoro a stipendio costante (in qualche
misura); 2) i mezzi di produzione non devono essere di proprietà di una
minoranza che li usa per i propri scopi di profitto, ma della maggioranza che
li utilizza per fini di benessere collettivo.
La
differenza è sostanziale: in un ipotetico mondo dominato dall’élite
capitalistica, dove i beni ed i servizi vengono realizzati dalle automazioni, i
lavoratori assumerebbero un ruolo ancor più marginale ed il tutto andrebbe ad
esclusivo vantaggio di una minoranza: sarebbe un disastro totale!
Se invece le
macchine fossero di proprietà della collettività, o di gruppi locali, e
venissero utilizzate per realizzare beni e servizi in modo automatico e in
quantità tale da poter essere dati/forniti in modo gratis a tutti, allora i
lavoratori assumerebbero un ruolo centrale ed i vantaggi non sarebbero più di
una minoranza ma della collettività.
Prodotti
gratis? Certo, con una produzione automatizzata scientificamente tarata per
soddisfare le esigenze di tutti non avrebbe più alcun senso pretendere un
prezzo in cambio dei prodotti ma, al limite, solo un piccolo contributo
lavorativo, in termini di competenze e di tempo esistenziale, per far sì che il
sistema funzioni correttamente e/o venga ottimizzato.
A noi la
scelta: possiamo continuare a vivere in una società che legittima la proprietà
dei mezzi di produzione ad un’élite, avida e parassitaria, che li sfrutta
scientemente per esercitare il dominio sul resto della collettività, anche per
mezzo di una lavoro disumano, insensato e totalizzante, inseguendo il miope e
deleterio obiettivo del profitto;
oppure
possiamo ripensare le regole del gioco, attribuendo la proprietà dei mezzi di
produzione alla collettività, che decide di utilizzarli in modo intelligente
per realizzare i beni ed i servizi di cui tutti hanno bisogno per vivere
dignitosamente, minimizzando il lavoro umano in virtù di un ideale di libertà,
senza guardare al profitto ma al raggiungimento della felicità degli esseri
viventi.
Mirco
Mariucci
[tratto
da HTTP://UTOPIARAZIONALE.BLOGSPOT.IT]
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