mercoledì 30 settembre 2015

interessante articolo di Fabiana Stefanoni sulla situazione in Brasile

San Paolo, 18 settembre
Brasile, decine di migliaia in piazza:

blocchiamo il Paese!


Leggete con attenzione questo articolo perché, in Italia, difficilmente avrete occasione di leggere altrove di quello che sta realmente accadendo in Brasile, uno dei Paesi più grandi del mondo, considerato, almeno fino a poco tempo fa, una delle principali

lunedì 28 settembre 2015

28 settembre: giornata internazionale di azione per la depenalizzazione dell’aborto

Il 25% della popolazione mondiale vive in regimi giuridici che proibiscono l’aborto o lo permettono soltanto se è a rischio la vita della donna. Nonostante ciò le statistiche ufficiali dicono che ogni anno circa 44 milioni di donne nel mondo decidono di

domenica 27 settembre 2015

Il filo rosso dell’amianto e di Stephen Schmidheiny tra Italia e America Latina


Lo portavano sempre con sé i pompieri, dentro le loro uniformi. Isola tetti, pareti e tubature. E’ fibroso, incombustibile, mortale. Non è un indovinello, ma la descrizione dell’amianto o di una sua varietà, l’asbesto, un minerale di fibre bianche, flessibili e assassine.

lunedì 21 settembre 2015

Renzi, le assemblee e il manganello mediatico

Per il circo mediatico, i diritti negati, i salari ridotti, i pensionamenti cancellati, gli esodati, la vita precarizzata, i crimini commessi dalla premiata ditta Monti-Letta-Renzi, sono solo equi strumenti per ridurre il costo del lavoro a livelli «ragionevoli», garantire l'ascesa dei profitti e agevolare gli investimenti che «producono lavoro». A

sabato 19 settembre 2015

I pericoli dell’accordo interconfederale sulla rappresentanza

di Piergiovanni Alleva  (Università Politecnica delle Marche)


L’accordo interconfederale 10 gennaio 2014, in tema di rappresentanza sindacale e sistema di
contrattazione collettiva, suscita, a nostro avviso,non poche perplessità per alcuni suoi contenuti - non
presenti nei precedenti accordi del 2011, 2013 – contenuti virtualmente pericolosi per la libertà sindacale.

venerdì 18 settembre 2015

Ikea, tagli agli stipendi. Flaica Roma: venerdì sciopero

Presidio davanti l'ambasciata svedese, in piazza Rio de Janeiro. Situazioni simili per i punti vendita di Porta di Roma e Anagnina. "La democrazia è imbavagliata"


Va avanti la lotta dei lavoratori Ikea. Venerdì la Flaica Roma ha indetto uno sciopero ed effettuerà un presidio, dalle 9 alle 14, davanti l’ambasciata svedese (piazza Rio de

giovedì 17 settembre 2015

DAL SITO CONTROPIANO.ORG "I lavoratori Ikea svenduti da Cgil Cisl e Uil"


“Mentre i lavoratori Ikea hanno condotto tutta l'estate una forte battaglia contro la disdetta unilaterale del contratto integrativo da parte dell’azienda, e dopo che la

Endometriosi inserita nelle tabelle Inps: “Patologia invalidante”


Ne soffre il 10-17% delle donne in età fertile. Si tratta di una presenza 'anomala' del tessuto che riveste l'utero in organi diversi:  "E' una malattia cronica su cui - denunciano le associazioni - c'é molta ignoranza e confusione", spesso scambiata con i dolori mestruali

Dopo tanti anni di lotte, convegni e attività di sensibilizzazione, l’unico risultato concreto di aiuto per le donne che soffrono di endometriosi (una malattia cronica, in cui del tessuto simile a quello endometriale che riveste la parete interna dell’utero, viene a trovarsi in sedi anomale, come ovaie, tube, legamenti utero-sacrali, vescica, retto, ureteri, reni e qualunque organo del corpo) è stato ottenuto in questi giorni con il suo inserimento, nelle nuove tabelle Inps (le ultime risalivano al 1992). A seconda dello stadio e della gravità della patologia, si acquisiscono quindi dei punti ai fini dell’invalidità civile. Ma le donne colpite da questa malattia restano non-esenti dal ticket, e sono quindi costrette a pagarsi esami, visite e farmaci, spendendo circa 1500 euro l’anno.

mercoledì 16 settembre 2015

COMUNICATO DEL COORDINAMENTO NO AUSTERITY

Per l'abolizione di tutte le leggi razziste!
Per una reale accoglienza delle immigrate e degli immigrati!
Unità tra nativi e migranti!

Ancora centinaia di morti nel mar Mediterraneo, a pochi km dalle nostre coste. Si parla di 350 cinquanta morti al largo delle coste della Libia: centinaia di disperate e disperati (tra cui molti bambini) in fuga dalle guerre e dalla miseria dei loro Paesi d'origine: Siria, Bangladesh e Africa Sub Sahariana. Una fuga disperata per cercare di sopravvivere e che ha invece avuto come esito una terribile morte per annegamento. Nelle stesse ore, 71 immigrati siriani venivano trovati morti in Austria (tra cui 4 bambini) in un tir. Dall'inizio del 2015 sono ormai migliaia le vittime nel solo Mediterraneo: una strage di dimensioni enormi di cui sono responsabili il capitalismo e i governi europei e le loro politiche razziste.

martedì 15 settembre 2015

"Cgil addio. Ecco perché vado via". Intervento di Giorgio Cremaschi

La ragioni per le quali ho restituito dopo 44 anni la tessera della Cgil sono semplici e brutali. Oramai mi sento totalmente estraneo a ciò che realmente è questa organizzazione e non sono in grado minimamente di fare sì che essa cambi.

domenica 13 settembre 2015

articolo scritto e pubblicato da Clash City Workers

Il tempo è il nostro, è il nostro tempo. La flessibilità lavorativa da Ikea e da Carrefour



“Il tempo è la moneta della tua vita.
E’ lunica che possiedi e che puoi decidere come spendere.
Stai attento non permettere ad altri di usarla al tuo posto.”
Carl Sandburg

Il tentativo dell'Ikea di aumentare la flessibilità e di pagare meno il lavoro domenicale, l'apertura dei negozi Carrefour anche di notte, la domenica ormai considerata praticamente un giorno di lavoro normale nella grande distribuzione organizzata e in gran parte del commercio, ci mostrano come l'attacco al tempo di vita dei lavoratori non si ferma. I padroni non si accontentano mai, e non si fermeranno fin quando qualcuno non gli si metterà davanti per bloccarli. è ora di dire basta e smettere di tornare indietro.
 "Ringrazia che hai un lavoro!" In quest'agosto di scioperi a qualche lavoratore dell'Ikea è capitato di sentirsi ripetere questa frase da qualche cliente. E sì: perché c'è la crisi, la disoccupazione è al 13%, quella giovanile al 45% e, nonostante i proclami bimestrali del governo Renzi e di quelli che l'hanno proceduto, non se ne vede la fine.
E quindi bisogna baciare le mani che ti danno lo stipendio, che se non vuoi lavorare dietro di te c'è la fila. Quanto senso di colpa hanno provato a buttarci addosso in tutti questi anni: i disoccupati non volevano lavorare, ché ai mercati generali c'era sempre posto; i giovani universitari che protestavano contro le riforme non avevano voglia di fare nulla, ché se volevano lavorare si dovevano sbrigare a prendere la laurea e magari non essere choosy ed accettare il primo impiego che gli veniva offerto (quasi quasi pareva che in Italia ci fossero milioni di pizzerie in cerca di pizzaioli!); gli immigrati dovevano ringraziare solo per il fatto di essere qua, lavorare duro e poi a casa a dormire ché disturbano solo a vederli in giro; i lavoratori pubblici non facevano nulla e quelli con contratto a tempo indeterminato erano dei privilegiati. E intanto, nel mondo del commercio come dei servizi pubblici, aumentavano sempre di più la flessibilità interna, introducevano nuovi "criteri di produttività", finivano per considerare domenica e festivi giorni lavorativi normali.
 "Io ti pago la giornata di lavoro e tu devi fare quello che voglio io" così era nell'Ottocento, prima che i lavoratori iniziassero con le lotte e gli scioperi a limitare l'orario della giornata di lavoro, prima a 12 ore (ma solo per i bambini) poi a 10 e infine ad 8 ore al giorno. E così rimane nella testa dei padroni. Magari non lo vediamo nelle aziende più grandi, dove i lavoratori sono ancora in qualche modo organizzati ed oppongono ancora una resistenza allo strapotere della dirigenza. Ma se si lavora per un piccolo padrone, o per una cooperativa dove si lavora a chiamata per il giorno successivo, quante volte capita sentirsi dare i turni giorno per giorno, non sapere quando si stacca, a volte non avere certezza nemmeno se quel giorno si lavora perché se al ristorante non c'è movimento si viene mandati a casa prima. E questa è la flessibilità: il padrone compra la tua forza lavoro per una giornata e vuole poterne disporre come vuole a seconda delle sue esigenze. Ne abbiamo conosciute tante in questi anni 30 anni di riforme, si era cominciato con la flessibilità in entrata nel 1977 quando avevano introdotto i contratti di formazione-lavoro per permettere ai giovani di accedere ad un "mondo del lavoro bloccato" ed esteso la possibilità di fare contratti a tempo determinato (una volta si potevano fare solo in casi molto particolari) a turismo e commercio, poi abbiamo avuto pacchetto Treu, legge 30, Jobs Act e finalmente i padroni possono assumerci scegliendo il contratto che più gli fa comodo, perfino pagandoci con un voucher dell'Inps ogni singola giornata lavorativa fino a 7000 l'anno nella flessibilità più totale, senza nessun diritto in più di chi lavora in nero. Poi è arrivato il turno della flessibilità in uscita, cioè della libertà di licenziamento, già le aziende potevano licenziare liberamente in casi di necessità economiche, ma grazie alla riforma Fornero e al Jobs Act che abrogano l'articolo 18, tutto è reso più veloce e sicuro anche per i licenziamenti che non hanno motivazioni produttive o inadempienze del lavoratore. Ora si tratta di rendere ancora più flessibile tutto ciò che sta tra l'assunzione e il licenziamento: la giornata di lavoro.
 "Appartenete al passato! È l'economia moderna a chiederci la flessibilità, dobbiamo cambiare per non perdere il passo del mercato internazionale!" Ci urlano in coro il presidente di Confindustria e Consiglio dei ministri, i professori della Bocconi e i giornalisti di Repubblica, "guardate cosa dicono l'Ocse, la Commissione europea e il Fondo monetario Internazionale". E giù a citare le statistiche e le raccomandazioni delle istituzioni che ci hanno portato nel baratro della crisi, nella barbarie della guerra per il posto di lavoro. Davvero è l'economia moderna a volere la flessibilità? Non è questo l'eterno desiderio di chi nei trent'anni di attacco ai diritti dei lavoratori, di taglio alle spese sociali e di riduzione delle tasse per i ricchi ha visto moltiplicare la propria ricchezza di centinaia di volte, mentre i salari dei lavoratori addirittura diminuivano?
E noi a questo desiderio egoista di chi ha bisogno di noi per mandare avanti negozi, ristoranti, fabbriche e servizi pubblici, opponiamo il nostro desiderio di una vita felice, sana, con il tempo per stare con i figli, con i parenti o con gli amici, per fare sport, leggere o fare quello che ci piace. Non solo è giusto ma anche economicamente fattibile, perché non stiamo attraversando una carestia, una siccità o la distruzione causata da una guerra o da una calamità naturale, non c'è bisogno di lavorare di più per sopravvivere. Accanto infatti a chi è costretto a lavorare più ore al giorno, a turni massacranti e ad un riposo che diventa sempre più chimera, c’è la piaga di milioni di disoccupati, costretti ad arrangiarsi o ad emigrare. Che poi quando un lavoro lo si trova è per lappunto quello descritto prima, che quasi quasi manco la schiavitù Ma c'è di più: una grande disponibilità di ricchezza, forse anche in eccesso vista la quantità di beni inutili o poco durevoli che si producono e di quelli che rimangono inutilizzati o nascosti (si pensi allevasione fiscale). Quello che vogliamo è distribuire equamente lavoro e ricchezza perché a goderne siano tutti, e non un'arrogante minoranza: quello che diciamo è lavorare meno lavorare tutti.
 Ma se questi sono i nostri desideri, e se all'opposto c'è il desiderio dei padroni di sfruttarci come meglio credono, sappiamo che la realtà materiale è molto dura e che stiamo continuamente arretrando. Dopo la sperimentazione dei mesi scorsi in alcuni negozi, Carrefour a partire da giugno ha riorganizzato numerosi punti vendita aperti h24 7 giorni su 7, arrivando a 77 in tutta la penisola, non assumendo nuovi addetti ma imponendo l'estensione dell'orario ai part-time (grazie alla legge Biagi fino al raggiungimento delle 40 ore settimanali le ore in più sono considerate non lavoro straordinario ma lavoro supplementare, e pagate senza maggiorazione) ed il lavoro notturno. Il lavoro notturno costa tanto in termini di salute fisica, psichica e sulla vita sociale del lavoratore. Come dicono numerosi studi e come sa chiunque abbia lavorato di notte per lunghi periodi, di giorno si dorme meno, peggio, si è più nervosi e incontrare gli amici o i partner diventa un'impresa. Bisognerebbe ricorrere al lavoro notturno il meno possibile e pagarlo di più, molto di più, perché a chi lo svolge costa di più. Ovviamente un simile costo non sarebbe conveniente per Carrefour, visto che non sarebbero molti a fare la spesa dalle 22 alle 6 (l'orario in cui scatta la maggiorazione notturna); l'obiettivo dellazienda francese è quindi di far lavorare di notte i lavoratori, ma pagandoli come di giorno, rendendo il lavoro notturno assolutamente normale.
 Anche l'Ikea è all'attacco del costo del lavoro domenicale e festivo e vuole estendere la flessibilità interna, chiedendo ai lavoratori di lavorare su turni che rispettano le sue necessità produttive ma non quelle del tempo libero dei lavoratori. A fine maggio ha disdetto il contratto integrativo aziendale e i lavoratori hanno iniziato a lottare contro la possibilità di vedersi ridotte le maggiorazioni domenicali e festive, che significa una riduzione fino al 20% dello stipendio mensile. Nella proposta di nuovo contratto aziendale fatta dall'azienda a fine luglio si prevede una maggiorazione dei domenicali a scaglioni che vanno dal 40% al 70% (ora le maggiorazioni vanno dal 130% dei dipendenti più anziani al 30% degli assunti più recenti, una brutta fotografia dell'arretramento subito negli ultimi anni) e la subordinazione del versamento del premio aziendale all'accettazione di un nuovo sistema di turnazione più flessibile. Un sistema basato sul programma di compilazione turni T.I.M.E., che, sulla previsione del fabbisogno di manodopera dell'azienda, stabilisce i turni dei lavoratori distribuendoli su base verticale (un part-time verticale concentra le ore previste del contratto in 2-3 giorni alla settimana) o orizzontale (le ore di lavoro vengono distribuite su tutti i giorni della settimana), mista, con diversi giorni di riposo ogni settimana, orari diversi ogni giorno. È chiaro che la possibilità di programmare, non diciamo nel lungo periodo, ma finanche un paio di giorni fuori, sparisce praticamente del tutto
I lavoratori Ikea hanno interrotto gli scioperi alla fine di agosto, in previsione del tavolo di trattativa del 14 settembre, in cui si troveranno ancora una volta davanti alla scelta di rinunciare al salario o di rinunciare al loro tempo libero, aumentando la flessibilità delle loro giornate in funzione dei profitti insaziabili di chi mostra una rigidità infinita nella difesa dei propri privilegi. A maggior ragione se si pensa che lIKEA non può certo accampare la scusa della crisi aziendale per giustificare queste scelte, dal momento che continua a mietere profitti miliardari ogni anno.

Noi pensiamo che sia giunto il momento che a rinunciare siano loro e saremo con chi dice no ad ogni ipotesi di revisione in peggio del vecchio contratto integrativo. Che va cambiato, ma per estendere le maggiorazioni dei lavoratori più anziani a tutti i dipendenti. Per ripartire per riprenderci il tempo, il salario, la salute che ci hanno tolto in tutti questi anni.






sabato 12 settembre 2015

Scioperano i lavoratori della coop dei rifugiati

Protesta del sindacato Cub Assistenza contro Terra del Fuoco e Babel: stipendi in ritardo.


Lunedì, per la prima volta, le lavoratrici e i lavoratori di una cooperativa impegnata nell’assistenza ai profughi sciopereranno «per rivendicare la correttezza del trattamento sia per chi lavora che per i richiedenti asilo che dovrebbero beneficiare del loro lavoro». Si tratta dei dipendenti dell’associazione Terra del Fuoco e della cooperativa Babel che, mesi fa, è nata al suo interno con la mission profughi. E poiché l'associazione - tra i suoi fondatori c’è il capogruppo di Sel in Consiglio comunale, Michele Curto - tuttora ha sede presso il Gruppo Abele, i lavoratori (una trentina) con le bandiere del sindacato di base Cub Sanità Assistenza si troveranno in presidio davanti alla sede del Gruppo, in corso Trapani.

«È costante - spiega Gabriele Pigozzi, rappresentante aziendale - che coop e associazione ritardino per mesi gli stipendi e persino i rimborsi delle spese vive anticipate dai lavoratori per poter svolgere l’attività. Una situazione frustrante». Ma non solo di denaro si tratta. «È carente la pianificazione degli interventi. Molte persone che abbiamo accolto quest’anno - dice Pigozzi - dovranno uscire senza aver fruito di programmi di inserimento, di integrazione con borse lavoro».

Per Roberto Forte, presidente di Babel, «i problemi derivano dal fatto che la cooperativa è una start up che ha iniziato a lavorare in maggio, non ha accesso al credito, conta solo su un appalto pubblico e patisce i ritardi con cui la prefettura paga. Oggi la situazione è questa: la busta paga di luglio, emessa al 15 agosto, è stata pagata al 50%. Ma tutti i dipendenti sono assunti a tempo indeterminato e siamo certi che la situazione a breve si regolarizzerà». 


Articolo da “LA STAMPA” di MARIA TERESA MARTINENGO


venerdì 11 settembre 2015

volantino di DONNE IN LOTTA NO AUSTERITY VICENZA

VICENZA: La Lotta Paga

Euro 100.000,00 a Mariana dal esercito Usa

Mariana, la ragazza rumena di 29 anni,  brutalmente aggredita e seviziata a Vicenza quando era incinta al sesto mese di gravidanza,  da due  paracadutisti dell’esercito degli Stati Uniti,  nella notte fra il 14 e il 15 luglio 2014 ( la notte che i mass media hanno chiamato la notte da “Arancia Meccanica”) è stata risarcita per danno biologico dall’esercito statunitense con una prima tranche di € 100.000,00.
Dopo aver ricevuto questa prima somma, Mariana con il suo bambino, è ritornata, come desiderava da tempo, al suo Paese, per raggiungere la sua famiglia ed il suo primogenito.
Per Mariana, a fianco della difesa legale, si era attivata una mobilitazione di solidarietà partita soprattutto dal Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute di Pordenone e dalle Donne in lotta di No Austerity Vicenza, donne che ben presto erano riuscite a  coinvolgere diverse altre associazioni vicentine, oltre a numerose donne e uomini che hanno aderito singolarmente.
Sit-in, volantinaggi, raccolta firme, che hanno travalicato i confini cittadini e che hanno impedito che il silenzio su questo grave e, purtroppo non isolato caso, scendesse l’omertà.
Nessuna somma di denaro, per quanto cospicua, potrà mai risarcire l’orribile esperienza patita da Mariana e dal suo bambino, nondimeno è importante sottolineare come l’azione legale di due donne, le avvocate di Mariana, la caparbietà di Mariana nel cercare di ottenere giustizia e la sua fermezza durante gli interrogatori, la solidarietà dei comitati cittadini che hanno contribuito a creare una rete di appoggio nei confronti di Mariana e di riportare alla luce l’orrore della guerra e della presenza di basi militari in città, sono stati tutti tasselli importanti di un mosaico che ha portato a questa sentenza “storica”.


Donne in lotta No Austerity Vicenza


www.coordinamentonoausterity.org





mercoledì 9 settembre 2015

Endometriosi: 10 anni prima di avere una diagnosi

Questa malattia cronica, molto diffusa tra le donne (e spesso causa di infertilità), viene individuata quasi sempre in ritardo. Ma prima si interviene, meglio può essere controllata

Se chiedete a un uomo cos’è l’endometriosi, le probabilità che lo sappia sono francamente remote. Ma anche tra le donne (e sono loro a esserne colpite) la conoscenza di questa malattia è piuttosto vaga. Magari ne soffrono, ma pensano che quei forti dolori durante il ciclo mestruale siano in fondo inevitabili, passano da un ginecologo all’altro senza individuare il problema e, dopo una via crucis che dura, in media, dai 7 ai 10 anni, ottengono la diagnosi di endometriosi: patologia in cui tessuti simili a quelli endometriali, che rivestono la parete interna dell’utero, si trovano dove non dovrebbero essere, in luoghi anomali, come ovaie, tube, vescica, perineo o altri organi del corpo. Da qui i dolori, spesso lancinanti, più intensi durante il ciclo e i rapporti sessuali, che poi diventano pelvici e quasi sempre cronicizzano. Accompagnati a volte da nausea e vomito. Senza dimenticare che l’endometriosi compromette anche la fertilità e può danneggiare gli organi che coinvolge.

Malattia dunque molto diffusa (in Italia ne soffrono oltre 3 milioni di donne, vuol dire circa una su 8), poco conosciuta e di conseguenza malcurata. Ma perché è così arduo ottenere una diagnosi? "Ha scarsi sintomi e di difficile comprensione, il dolore si sposta per esempio, per cui la paziente va da più medici, almeno cinque secondo le stime, ma ognuno considera solo il proprio campo di specializzazione e non azzecca la diagnosi vera" spiega Vito Trojano, presidente dell’ Associazione ostetrici ginecologi ospedalieri italiani. "Solo nel 2005 c’è stato un riconoscimento a livello europeo dell’endometriosi come patologia sociale con costi sanitari importanti: oltre 30 miliardi di euro l’anno persi per congedi di malattia. Così si è finalmente iniziato a creare una rete di centri e di servizi e un registro della malattia, che prima non esisteva".

Non c’è dubbio che l’endometriosi sia, per chi ne è colpita, una sorta di maledizione; basta leggersi qualche testimonianza nei forum femminili: parlano di dolori continui, terapie pesanti, ricoveri, interventi chirurgici, infertilità, recidive... "Malattia bastarda" è la definizione più frequente. Prevenirla, in sé, non è possibile. "È una malattia su base anatomica, con cause probabilmente di tipo immunologico. Non esistono fattori di rischio conosciuti, non è qualcosa che si eredita né viene innescata da interruttori ambientali, come stili di vita o alimentazione" chiarisce Trojano.

Presa in fase precoce, tuttavia, si può tenerla sotto controllo, rallentarne la progressione ed evitarne le conseguenze più serie (come l’impossibilità di avere figli). La diagnosi tempestiva è, appunto, fondamentale. "È più semplice farla se c’è una cisti ovarica, che si vede con l’esame ecografico. Quando invece la malattia è di tipo infiltrante, la sua forma più seria perché i tessuti endometriosici si infiltrano all’interno degli organi pelvici, la diagnosi è più complessa" dice Mario Malzoni, primario della U.O. endoscopia ginecologica avanzata alla Clinica Villa dei Platani di Avellino (centro specializzato nell’endometriosi).

Una volta capito di che si tratta, ci sono varie possibilità di trattamento. "Per placare i dolori, per esempio, si danno come primo step gli antinfiammatori non steroidei, i Fans, che agiscono a livello locale. Per il dolore viscerale e profondo, sono più indicati i farmaci oppioidi" precisa Sergio Pascale, terapista del dolore alla Clinica di Avellino. "Il ricorso agli oppioidi fino a poco tempo fa incontrava ancora resistenza, si temeva dessero assuefazione, ma così non è, per contro hanno un effetto analgesico potente. Oggi poi esiste un oppioide che unisce due principi attivi, ossicodone e naxolone: è efficace e non ha quell’effetto collaterale costante, la stipsi, che invece avevano gli altri oppioidi". Medicinali che, presi sotto controllo medico, possono essere assunti per lunghi periodi senza pericoli (sono cronodose, ossia vanno presi ogni 12 ore e non al bisogno).
Gli analgesici, però, difficilmente bastano. Quasi sempre necessaria è la terapia ormonale, farmaci progestinici a basso dosaggio dati in modo continuativo: bloccano il ciclo e la produzione di estradiolo, l’ormone che fa crescere i tessuti endometriosi (dentro e fuori dall’utero), e in questo modo permettono di tenere a bada la malattia. L’effetto collaterale è che, durante la cura, la donna non può restare incinta, quindi sono farmaci che vanno presi quando non c’è il desiderio di avere un figlio.


Nessuna pillola, tuttavia, risolve il problema alla radice. E quando il dolore si fa incontrollabile e c’è il rischio di danni agli organi coinvolti, si ricorre alla chirurgia, effettuata in laparoscopia e da un chirurgo pelvico dedicato all’endometriosi (e nei centri di riferimento per la malattia: www.centronazionaleendometriosi.com ). "La mano del chirurgo in questo caso è più che mai fondamentale" avverte Malzoni. "L’intervento deve eliminare ogni traccia di tessuto endometrioso rispettando l’anatomia femminile e la fertilità, quindi non toccando utero e ovaie. Un’operazione delicata e complessa che, se fatta come si deve, riduce di molto anche il rischio di recidiva".

martedì 8 settembre 2015

CUB TELECOM

VERTENZA TELECOM: FIRMATO DA CISL-UIL-UGL UN ACCORDO QUADRO AL M.I.S.E. CHE RIMANDA A SUCCESSIVI INCONTRI A LIVELLO AZIENDALE, CON L’OBIETTIVO DI FARE IL VERO ACCORDO APPLICATIVO ENTRO 1 MESE.

(come era prevedibile perché è necessario che ci sia il consenso della maggioranza dei 71 rappresentanti RSU del Coordinamento nazionale, altrimenti l’accordo non è valido/applicabile).
IN ATTESA CHE SIA DIFFUSO IL TESTO DELL’ACCORDO, DALLE PRIME INDISCREZIONI TRAPELATE I CONTENUTI SAREBBERO:
- SOLIDAIRETA’ DIFENSIVA PER TUTTI I 43.000 LAVORATORI
(non si sa ancora con quale percentuale di riduzione dell'orario)
- LA MOBILITA VOLONTARIA PER CIRCA 330 LAVORATORI CHE RAGGIUNGONO LA PENSIONE ENTRO IL 2017
- PREPENSIONAMENTI FINO A 4 ANNI PRIMA (Fondo previsto dalla legge Fornero)
- RICONVERSIONI PROFESSIONALI
- RITIRO DELLA SOCIETARIZZAZIONE DEL CARING (ma va…)
IN PRATICA I PREPENSIONAMENTI LI PAGHIAMO NOI LAVORATORI CON LA SOLIDARIETA’ DIFENSIVA:
QUELLI FUTURI DEI DIPENDENTI E QUELLI DEI 150 DIRIGENTI, CHE TELECOM STA GIA FACENDO CON L'ACCORDO FIRMATO A GIUGNO DI CUI ABBIAMO DATO GIA' NOTIZIA.
Per applicare la Solidarietà Difensiva e la Mobilità l’azienda deve aprire le procedure di legge (n. 223/91 e successive modifiche/integrazioni) mandando comunicazione ufficiale ai Sindacati e alle RSU. Cosa che non è stata ancora fatta.
Inoltre, sia per la Solidarietà che per la Mobilità volontaria, sia per i Prepensionamenti è obbligatorio che ci sia un accordo sindacale.
Il percorso è ancora lungo prima di arrivare alla sua conclusione.
I lavoratori hanno ancora tutte le possibilità di far valere i propri diritti: lottando e pretendendo la votazione di qualsiasi accordo e agendo sui rappresentanti RSU del Coordinamento nazionale.

Noi come CUB ci adopereremo in tal senso.

Il comunicato stampa del Ministero (si noti l’enfasi posta alla ricerca di una rappresentanza sindacale “compatta” = cercare di recuperare alla firma dell’accordo la Slc-Cgil):
Telecom Italia: siglato al Mise accordo con CISL, UIL e UGL. Nessun lavoratore licenziato.
Lunedì, 07 Settembre 2015
Ministro Guidi: faremo ogni sforzo per recuperare una rappresentanza sindacale compatta
Nessun lavoratore Telecom Italia sarà licenziato. Gli esuberi saranno gestiti con la solidarietà. L'obiettivo è stato raggiunto con l'Accordo quadro siglato oggi al Ministero dello Sviluppo Economico tra Telecom Italia e FISTEL Cisl, UILCOM Uil e Ugl Telecomunicazioni. L'intesa definisce il percorso con cui le parti intendono perseguire la finalità di migliore tutela dei lavoratori nel quadro di riorganizzazione ed efficientamento del Gruppo Telecom.
L'accordo recepisce significativamente le richieste avanzate nei precedenti incontri dalle organizzazioni sindacali e dallo stesso Ministero. Il confronto prosegue ora in sede aziendale per dare pratica implementazione alle indicazioni contenute nell'intesa.
Per il Ministro Federica Guidi si tratta di un traguardo significativo che non sacrifica posti di lavoro. Il Ministro auspica che sia fatto ogni sforzo per recuperare quel quadro di generale rappresentanza sindacale che nell'incontro odierno non è stato possibile ottenere. Questa azione sarà rafforzata con la massima determinazione.

Ikea, ecco le scuse per tagliare gli stipendi dei dipendenti del 30%


La filiale italiana del gruppo svedese ha accumulato negli ultimi tre anni 53 milioni di perdite, causate però dagli ammortamenti delle spese di apertura di tre nuovi megastore. Per tutelarsi, ha cancellato il contratto integrativo con cui copre i picchi di lavoro nei fine settimana. Invocando “il contesto economico degli ultimi anni", che è "radicalmente mutato”
I quotidiani nazionali hanno già riportato la cronaca della vertenza Ikea. In sintesi, nel maggio scorso l’azienda ha disdetto unilateralmente il contratto integrativo aziendale, che disciplina in particolare le maggiorazioni per i turni domenicali e festivi. Per motivare la decisione piange miseria, affermando che “il contesto economico degli ultimi anni è radicalmente mutato”. Una cosa della quale molti lettori si saranno accorti da un pezzo, ma che per l’azienda pare essere scoperta recente. Sul Sole 24 Ore dell’8 ottobre scorso, Silvia Pieraccini ci ricordava che il fatturato dell’Ikea, nonostante la recessione, è sostanzialmente stabile (-0,2% nell’ultimo anno fiscale). I 53 milioni di perdite sono quindi dovuti all’ammortamento delle spese di apertura di tre nuovi punti vendita: Catania, Pescara e Pisa, aperti fra il 2011 e 2014.
La crisi, però, era iniziata nel 2008 e solo ora si comincia a vedere qualche timido barlume di ripresa, che potrebbe essere spazzato via in un attimo da un rialzo dei prezzi delle materie prime o dei tassi statunitensi, o dal crollo dei mercati emergenti. Aprire nuovi megastore in un contesto simile sembra una scelta un pochino azzardata, ma naturalmente il rimedio è a portata di mano: basta scaricarne il rischio sui dipendenti. Questi sono impiegati per lo più con contratti part-time “verticali”, che coprono i picchi di lavoro del fine settimana. Per molti di loro la disdetta del contratto integrativo significa una riduzione del salario che, a spanne, si colloca fra il 20 e il 30%. Il tutto mentre a livello globale l’azienda vola, come ricordava Repubblica il 28 gennaio, al punto che la casa madre ha potuto distribuire 200 milioni di bonus ai propri dipendenti. Naturalmente qui in Italia i sindacati non hanno apprezzato la disdetta del contratto: l’11 luglio è stato indetto il primo sciopero nazionale, e da allora, dopo la posizione di chiusura assunta dall’azienda a fine luglio, sono proseguite le manifestazioni, in vista del prossimo incontro fra le parti, previsto per il 14 settembre. Quella che vi sto raccontando è, per molti versi, una storia di figli e figliastri: insomma, duole dirlo, una tipica storia europea. Intanto, fa riflettere il fatto che un’azienda che nasce in Svezia, paese che ha reagito alla crisi del 2008 svalutando del 20% la propria corona, venga a casa nostra a svalutare del 20% i salari dei suoi dipendenti. I paesi europei che sono rimasti fuori dalla gabbia dell’euro volano, e in alcuni casi (come la Polonia o la Repubblica Ceca) sono anche beneficiari netti dei fondi europei. Gli abitanti dei paesi che, come l’Italia, hanno aderito senza precauzioni all’euro “che ci protegge”, hanno un destino segnato: la svalutazione del loro lavoro. Chi opera in settori esposti alla concorrenza estera, come la manifattura, ci passa prima (pensate al caso Electrolux), ma anche chi opera nei settori cosiddetti “protetti”, come il commercio o l’insegnamento (ricordate “La buona scuola”?), non è al sicuro. Quando la crisi spinge la disoccupazione verso l’alto, è facile trovare chi sia disposto a lavorare per meno soldi.

C’è poi un altro dettaglio che interesserà i tanti che attribuiscono aprioristicamente agli abitanti del Nord patente di virtù. L’Ikea è riuscita a scandalizzare perfino l’Economist (che non è esattamente un settimanale comunista) per la scaltrezza con la quale, grazie a un complicato intreccio di società senza scopo di lucro e scatole cinesi con sedi in Liechtenstein, Lussemburgo e nell’immancabile Olanda, riesce ad eludere il fisco.

Peraltro, l’Ikea è coinvolta anche nello scandalo Luxleak: uno scandalo esploso nell’autunno scorso, quando si apprese che le autorità del Lussemburgo avevano garantito trattamenti fiscali di favore a grosse multinazionali. Possiamo supporre che i funzionari lussemburghesi non siano stati generosi per mera filantropia: comunque lo scandalo è stato presto sedato, forse per il non trascurabile dettaglio che una delle persone potenzialmente coinvolte (in quanto premier del Lussemburgo) è nel frattempo diventato presidente della Commissione Europea (Jean Claude Juncker). Anche qui figli e figliastri: nell’Europa che vorrebbe (a chiacchiere) diventare una federazione, unendo i bilanci pubblici dopo aver unito la moneta, i paesi “più uguali degli altri” ci fanno concorrenza sleale praticando condizioni fiscali di favore a imprese “più uguali delle altre”, salvo poi darci periodiche lezioncine di moralità.

La dinamica figli/figliastri opera anche nel microcosmo. All’interno della stessa Ikea molti neoassunti hanno tipologie di contratto meno vantaggiose dei loro colleghi anziani. La disdetta del contratto integrativo quindi non li danneggia: in quanto “figliastri”, tendono a essere poco solidali coi “figli” (che a loro volta non si erano posti particolari domande vedendo arrivare interinali e stagisti, aderendo alla comoda logica dell’“io speriamo che me la cavo”). La morale di questa vicenda ancora aperta è semplice. Il capitale sa come vincere la sua guerra: dividendo l’avversario. E allora, non chiedere mai per chi suona la deflazione: essa suona per te…


da Il Fatto Quotidiano del 2 settembre 2015

Privatizzare la sanità. Il modello Unipol


Il piano è sempre lo stesso, qualsiasi sia il settore pubblico da smantellare. Tagli la spesa, restringi i servizi, aumenti le tariffe, fai incazzare gli utenti, muovi un po' di giornalisti prezzolati, alimenti una campagna contro “il pubblico” che incontra resistenze via via più febili (il servizio funziona sempre meno) e alla fine privatizzi tutto.
Abbiamo visto i “grandi successidi Telecom e dell'Alitalia, per non dire dell'Italsider diventata Ilva. Lo stiamo vedendo con la scuola e l'università, fatte marcire tra taglio dei fondi, maltrattamento del personale e aumento delle rette, parallelo all'aumento dei fondi regalati alle scuole private.
La “fase finale” ora tocca alla sanità.
Come si privatizza la sanità pubblica? All'americana, naturalmente, dandola in mano alle assicurazioni e alle strutture private. C'è ancora un po' di timore a presentarla così, quindi si comincia con degli studi, in cui magari un centro di ricerca serio come il Censis si mette a duettare con un qualcosa che si chiama Unipol, si comincia a far circolare il mantra che “bisogna superare certi pregiudizi” (le assicurazioni, in Italia, non godono effettivamente di grandi simpatie nella popolazione...), ma si comincia anche a disegnare teoricamente il nuovo assetto possibile di una sanità completamente privatizzata. A cominciare dal nome, ovviamente in inglese: white economy.
Il rapporto Censis-Unipol prende atto con soddisfazione che la sanità pubblica è stata ormai “frollata” a sufficienza e quindi “Appare ormai maturo il tempo di una nuova integrazione tra pubblico e privato, capace non solo di garantire la tutela sanitaria e sociale delle persone, ma anche di favorire la crescita economica, a partire dai territori”.

In fondo gli utenti sono stati ormai abituati a pagarsi quasi tutte le prestazioni sanitarie, a cominciare dall'assistenza agli anziani. Dunque non ci sarebbero troppi ostacoli pratici. Anzi, bisogna anche sbrigarsi perché la crisi ha ristretto la capacità di spesa delle famiglie in questo settore. Al punto che ci si cura in generale di meno (nonostante l'aumento dei ticket, infatti, nel 2014 la spesa delle famiglie è scesa del 5,7%) e per la prima volta è in diminuzione anche il numero delle badanti assunte per assistere gli anziani.
Per il presidente di Unipol, Pierluigi Stefanini, “Se sapremo superare i pregiudizi consolidati, il pilastro socio-sanitario, inteso non più solo come un costo, può divenire una solida filiera economico-produttiva da aggiungere alle grandi direttrici politiche per il rilancio della crescita nel nostro Paese”. Et voilà, il gioco è fatto. La salute della popolazione smette di essere un diritto individuale garantito dallo Stato e diventa una merce “prodotta” da una “solida filiera economico-produttiva”, con aziende private (cliniche, laboratori di analisi e diagnostica, ecc) che sostituiscono quasi in tutto la rete sanitaria pubblica. Cui dovrebbero essere affidate, in misura assolutamente residuale, tutte quelle prestazioni da cui proprio è impossibile estrarre profitti privati: pronto soccorso, malattie gravi e/o invalidanti di persone con redditi troppo bassi, ecc.
Naturalmente bisogna “comunicare” qualcosa di più attraente e meno volgare. Quindi si argomenta in modo solidale alle famiglie italiane che “nei lunghi anni della recessione hanno supplito con le proprie risorse ai tagli del welfare pubblico”. E anzi ci si presenta come pronti a correre in loro soccorso, perché “oggi questo peso inizia a diventare insostenibile. Per questo è necessario far evolvere il mercato informale e spontaneo dei servizi alla persona in una moderna organizzazione che garantisca prezzi più bassi e migliori prestazioni utilizzando al meglio le risorse disponibili”.
Sembra la pubblicità di una catena di supermercati che garantisce “prezzi bassi e fissi”. E bisognerebbe chiedersi come sia possibile che una “moderna organizzazione” della sanità in mano ai privati riesca a garantire -in futuro - prezzi più bassi e migliori prestazioni. L'esperienza comune, infatti, registra l'esatto opposto: prezzi spaventosi (una clinica privata con una certa affidabilità può arrivare a chiedere 500 euro al giorno per il solo ricovero, senza ancora calcolare i costi di visite specialistiche e medicinali, per non dire delle operazioni chirurgiche), qualche problema con i casi clinicamente più complessi (specie nella neonatologia, dove non è infrequente che bambini nati in cliche private vengano trasferiti d'urgenza in ospedali pubblici specializzati, come il Bambin Gesù di Roma). Poi, certamente, in una clinica privata il “numero chiuso” - ristretto a chi si può permettere di pagare certe cifre o è coperto da un'assicurazione (appunto...) - garantisce un rapporto meno frettoloso con medici e infermieri, meno affollamento e nessun letto nei corridoi. Queste sono piacevolezze che vengono da sempre assegnate alla sanità pubblica che deve accogliere e assistere chiunque – meritoriamente – anche se non c'è posto.
Ma ci sono dettagli decisamente interessanti nel rapporto Censis-Unipol. Per esempio, lo scorso anno la spesa sanitaria privata è crollata del 5,7%. La riduzione generalizzata dei redditi, insomma, sta mettendo in crisi i profitti dei padroni delle cliniche e dei centri diagnostici privati (gli Angelucci e i Debenedetti, per esempio); quindi è decisamente il “momento” di garantir loro un solido aumento delle entrate.
L'idea è di copiare il modello anglosassone, soprattutto statunitense, con qualche mediazione: “un’integrazione tra offerta pubblica e strumenti assicurativi (che permettano di sottoscrivere polizze a costi accessibili per poter godere in futuro di servizi di assistenza, di cura e di long term care) e di intermediazione organizzata e professionale di servizi”.
Come farlo senza consegnare immediatamente e brutalmente la popolazione agli “intermediatori” sanitari privati? Con una attenta regolamentazione che serva a “stabilire le modalità precise per attivare tale percorso di integrazione, non tralasciando che molti fenomeni di cambiamento socio-demografico variano ed assumono sfumature differenti a seconda dei territori in cui si articola il Paese. Coinvolgere, pertanto, gli Enti territoriali nella definizione di processi di integrazione pubblico-privato, ma soprattutto coinvolgerli nella definizione di strumenti integrativi di welfare può essere una pista di lavoro per attivare servizi maggiormente rispondenti ad uno scenario in cambiamento. In questa prospettiva si pongono le proposte, di alcuni operatori privati, in primis Unipol, di attivare fondi sanitari integrativi di tipo territoriale, con una forte compartecipazione degli Enti locali”.
Decentramento, accordi con enti locali inchiodati dal “patto di stabilità” e dunque impossibilitati ad opporsi validamente alle pressioni dei “privati” in presenza di una riduzione generalizzata della spesa sanitaria pubblica e quindi alle montanti proteste della popolazione. La chiave per disarticolare le resistenze passa da qui.
Il tutto, ovviamente, per “stimolare la crescita del paese”, sviluppando “filiere”. Perché “è evidente che la modernizzazione e la crescita della white economy, non possono passare solo per un investimento pubblico ma, viceversa, dovrebbero passare attraverso l’attivazione di un’offerta privata di servizi e di strumenti assicurativi e finanziari privati, di tipo integrativo, coordinati con l’offerta pubblica e sottoposti, ovviamente, alla vigilanza di organismi indipendenti competenti per materia”.

Preparatevi a fare a schiaffi con le assicurazioni. Che, come in America, pretendono di coprire soltanto i clienti in perfetta salute, scartando tutti quelli che rischiano di costar loro più di quanto non versino di polizza.

Articolo di ieri del sito  CONTROPIANO.ORG

lunedì 7 settembre 2015

Roma. Cgil Cisl Uil blindano assemblea Rsu dell'Ikea. Fuori i delegati della Usb

Lunedì, 07 Settembre 2015


 Cgil, Cisl e Uil blindano la assemblea nazionale delle RSU di IKEA. Esclusi i delegati di USB del negozio storico di Carugate
A Roma in via dei Frentani era convocata per oggi l’assemblea nazionale delle RSU e RSA di tutti i negozi IKEA della penisola, ma i sindacalisti confederali hanno pensato che fosse utile escludere i delegati dell’USB eletti nello storico negozio di Carugate, il primo IKEA d’Italia.
Per questo già da ieri era stata pre-allertata la Questura, in modo che stamattina è stato impossibile ai delegati USB prendere parte all’assemblea.
Tutto ciò con l’evidente intento di andare ad un accordo al ribasso, dopo la grande mobilitazione dei lavoratori di questi mesi, per poi procedere ad una “normalizzazione” dei rapporti in vista del rinnovo del CCNL Federdistribuzione.
“I sindacati concertativi sono arrivati alla frutta – dichiara Francesco Iacovone dell’Esecutivo Nazionale Lavoro Privato USB – non possono neppure più permettersi di affrontare in assemblea le opinioni differenti di altri delegati. E’ il segno evidente di un declino ormai inarrestabile che abbiamo il compito però di velocizzare se non vogliamo assistere alla distruzione definitiva dei residui diritti del lavoro”.

articolo dal sito CONTROPIANO.ORG

IL SI.COBAS NON FIRMA L’ACCORDO SULLA RAPPRESENTANZA SINDACALE

Si Cobas Lavoratori Autorganizzati


Il testo unico sulla rappresentanza, giunto a compimento nel gennaio 2014, con il pieno appoggio delle segreterie confederali di CGIL-CISL-UIL, rappresenta un ulteriore passaggio politico del fronte capitalista che mira ad arginare gli spazi di espressione della classe lavoratrice sul terreno sindacale e politico all'interno dei luoghi di lavoro

L'accordo sancisce infatti un monopolio pressoché assoluto dei sindacati maggiormente rappresentativi sia rispetto al "diritto di contrattazione", sia rispetto alla "conformazione di rappresentanze sindacali" interne ai luoghi di lavoro e soprattutto impedisce a chi lo accetta di portare avanti iniziative se non si ha la maggioranza dei lavoratori pena l'essere messi fuori gioco con conseguenze anche dal punto di vista disciplinare e pecunario.

A fronte di una crisi economica che si approfondisce sempre di più , la Confindustria, con l'inerposta persona dei sindacati confederali,riesce così a imporre, da un punto di vista legale e borghese, un maggior controllo del movimento operaio e della sua capacità di contrapporsi ai piani di austerità richiesti dai capitalisti su scala internazionale, per salvaguardare cosi' le residue possibilità di rilanciare l'accumulazione capitalista assicurarandosi il "silenzio" dei proletari attraverso un controllo stretto delle loro forme indipendenti di espressione sindacale e politica.

La costruzione del SI.Cobas e la questione dei delegati operai:

Il Si.Cobas nasce come rottura nei confronti dell'atteggiamento e posizioni opportuniste che erano maturate nello SLAI Cobas e sulla spinta dei settori più sfruttati della classe operaia ( settore della logistica) per cercare un'alternativa allo sfruttamento incondizionato a cui sono stati sottoposti, in particolare attraverso un regime di neo-caporalato rappresentato dalle (finte) cooperative.

L'azione sindacale condotta negli ultimi 5 anni non ha avuto bisogno del riconoscimento formale del nemico di classe per esrimersi ed essere riconosciuta ma, piuttosto, ha imposto con la lotta condizioni migliori economiche e normative a partire dal rispetto del CCNL di categoria, (al di là della sua sostanziale inadeguatezza economica rispetto al fabbisogno medio operaio) fino ad imporre ai maggior committenti della logistica un accordo che ha stravolto le posizioni espresse da CGIL, CISL e UIL negli accordi del settore. Definendo, in tal modo, degli elementi che sono un baluardo di difesa economica collettiva, e di organizzazione di massa.
Un'azione diretta e indipendente della classe lavoratrice, che non è passata in alcun modo, attraverso il ricatto del riconoscimento formale dei padroni e che, in alternativa, ha imposto il ruolo dei delegati a livello aziendale come necessari e insostituibili punti di riferimento in quanto elementi più decisi e riconosciuti dagli operai per attuare contrattazione aziendale e nazionale.

In altre parole, la nostra esperienza diretta non ha mai fatto perno sulla costituzione delle cosiddette RSU (di per sé affermatesi attraverso un meccanismo elettorale mutuato dalle logiche degli accordi confederali espressione delle politiche borghesi) per puntare, in alternativa, a designare delegati rappresentativi della lotta concreta, possibilmente andando oltre il livello aziendale, facendo riferimento ad una dimensione più complessiva e generale della lotta di classe

Nonostante questo nostro DNA, non abbiamo mai rifiutato di misurarci sul terreno della rappresentanza (qualora questa permetteva, tra mille ostacoli, ad esprimere un'attivita' piu' larga tra i lavoratori) così come si è venuto a determinare, anche da un punto di vista normativo e giuridico. Ma l'accordo sul TU ha eliminato qualsiasi spazio di agibilità sindacale, chi accetta la blindatura imposta da padroni, governo e sindacati confederali ha meno spazio di chi non aderisce per indire scioperi e rappresentare altro che la cogestione con gli interessi borghesi. Lo dimostrano gli ultimi scioperi indetti all'ATM di Milano dalla CUB e da noi stessi. Con il TU non si tratta solo di avere un progressivo adattamento delle logiche sindacali (confederali) ai piani di assoggettamento messi in atto dalla controparte , ma di una rinuncia ad aprire nei fatti un'azione dei lavoratori contro le politiche aziendali e nazionali dei padroni e dei loro governi.
Conclusioni

L'agibilità sindacale utile agli operai, in una prospettiva di trasformazione dei rapporti di forza tra le classi, non passa quindi dal riconoscimento che viene fatto dalla controparte ma è frutto di una propria iniziativa indipendente. L'agibilità sindacale non è determinata dai permessi che vengono riconosciuti ai militanti sindacali, a maggior ragione se questi sono strettamente collegati al ricatto di "non disturbare il manovratore". Pertanto l'adesione al testo sulla rappresentanza, non farebbe altro che eliminare spazi reali di agibilità a chi intende opporsi radicalmente alle politiche padronali e alle istituzioni borghesi, finendo per accettare, al contrario, di essere blindato e, ancor di più, di farsi veicolo di una cultura politica di sottomissione alle forze borghesi.

Laddove si esprimerà una forza operaia, rappresentata da settori operai(eventualmente aderenti anche ai Confederali) istintivamente contrari ad una rappresentanza formale senza potere di agire autonomamente, ci batteremo come SI Cobas per imporre l'elezione di Rsu senza accettare la mutilazione del loro agire autonomo (in una prospettiva che superi una rappresentanza di comodo per i padroni per sancire, al contrario, che il consiglio operaio é un' espressione autentica della volontà di lotta in una prospettiva anticapitalistica).

CHI AL CONTRARIO, HA SOTTOSCRITTO IL TESTO UNICO SULLA RAPPRESENTANZA DI FATTO PERSEGUE UNA POLITICA OPPORTUNISTA CHE MIRA AD UNA RAPPRESENTANZA FORMALE CHE HA COME UNICO SCOPO QUELLO DI PRESERVARE IL PROPRIO ORTICELLO E VIVACCHIARE CON QUALCHE BRICIOLA CADUTA DAL PIATTO DI CGIL-CISL-UIL-UGL.

IL FATTO CHE TALE ADESIONE VENGA PRESENTATA COME UNA SCELTA OBBLIGATA NON FA ALTRO CHE DIMOSTRARE COME DIETRO LA RETORICA ROBOANTE E BARRICADERA DI ALCUNE SIGLE "DI BASE" SI CELA UNA POLITICA RIFORMISTA E IN REALTA' UNA SFIDUCIA TOTALE NELLA CAPACITA' DEI LAVORATORI DI FAR SALTARE LE REGOLE DEL GIOCO DEI PADRONI CON LA LOTTA E L'AUTORGANIZZAZIONE.
PER NOI IL COMPITO PRINCIPALE DI UN SINDACATO DI BASE È E RESTA QUELLO DI LAVORARE AFFINCHÉ I LAVORATORI ALLARGHINO LA LORO INIZIATIVA A SOSTEGNO DI UNA POLITICA DI CLASSE, NON CERTO QUELLO DI GUADAGNARE QUALCHE PERMESSO SINDACALE, COMANDO O ADDIRITTURA ESSERE RICONOSCIUTO NEL CNEL.

SI Cobas Nazionale

Copia cartacea del documento di valutazione rischi: un diritto del RLS

Una significativa sentenza ribadisce il diritto del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di ricevere copia cartacea, e quindi non solo in formato elettronico, del documento di valutazione dei rischi.

Milano, 16 Giu - Ospitiamo un approfondimento dell’avvocato Dubini che, anche alla luce di una significativa sentenza, ribadisce come sia un diritto del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza la ricezione di una copia cartacea, e quindi non solo in formato elettronico, del documento di valutazione dei rischi.

Di Rolando Dubini, avvocato in Milano

1. Il diritto soggettivo a ricevere una copia del documento
Ai sensi dell'articolo 18 (Obblighi del datore di lavoro e del dirigente) del D.Lgs. 9 aprile 2008, a pena di sanzione penale alternativa dell'arresto o dell'ammenda, "il datore di lavoro, che esercita le attività di cui all’articolo 3 e i dirigenti, che organizzano e dirigono le stesse attività secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite, devono:

[...]
“o) consegnare tempestivamente al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, su richiesta di questi e per l'espletamento della sua funzione, copia del documento di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a) [Documento di Valutazione dei Rischi -DVR], anche su supporto informatico come previsto dall'articolo 53, comma 5, nonchè consentire al medesimo rappresentante di accedere ai dati di cui alla lettera r); il documento é consultato esclusivamente in azienda;”
p) elaborare il documento di cui all’articolo 26, comma 3 [Documento Unico di Valutazione dei Rischi da interferenza – c.d. DUVRI], “anche su supporto informatico come previsto dall’articolo 53, comma 5,” e, su richiesta di questi e per l’espletamento della sua funzione, consegnarne tempestivamente copia ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; il documento é consultato esclusivamente in azienda”.

La modifica apportata dal D.Lgs. n. 106/2009 ha introdotto un limite, entrato in vigore dal 20 agosto 2009, alla consegna materiale del documento, che può avvenire solo nell'ambito del perimetro aziendale. Tale limite non era presente nell'originaria formulazione dell'art. 18 lettere o) e p) del D.Lgs. n. 81/2008.
Resta inteso che il tempo necessario a consultare in azienda il Dvr, l'intero documento allegati inclusi, è a carico dell'azienda.

Va ricordato che il diritto soggettivo a ricevere una copia del documento è altresì previsto dall'art. 50 del D.Lgs. n. 81/2008 (Attribuzioni del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza), ai sensi del quale il RLS "riceve" (e deve essere messo nella condizione di interpretare correttamente, dunque occorre anche, in modo formale e verbalizzato, spiegargli accuratamente il senso delle informazioni e dei documenti che gli vengono trasmessi) "le informazioni e la documentazione aziendale inerente alla valutazione dei rischi e le misure di prevenzione relative, nonché quelle inerenti alle sostanze ed ai preparati pericolosi, alle macchine, agli impianti, alla organizzazione e agli ambienti di lavoro, agli infortuni ed alle malattie professionali".

La sentenza che segue chiarisce in modo inequivocabile come sia vietato dal D.Lgs. n. 81/2008 ostacolare in forme magari surrettizie e subdole il diritto del Rls a disporre di copia integrale del documento di valutazione dei rischi, e come il RLS possa costringere l'azienda a consegnargli il DVR in copia cartacea non solo, come pure è avvenuto molte volte, invocando l'intervento degli ufficiali di polizia giudiziaria (u.p.g.) della Asl competente per territorio, ma anche ricorrendo allo strumento civilistico del decreto ingiuntivo.

Inoltre, sempre ai sensi dell'articolo 50 del D.Lgs. 9 aprile 2008:
"4. Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, su sua richiesta e per l’espletamento della sua funzione, riceve copia del documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a).
5. I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza dei lavoratori rispettivamente del datore di lavoro committente e delle imprese appaltatrici, su loro richiesta e per l’espletamento della loro funzione, ricevono copia del documento di valutazione dei rischi di cui all’articolo 26, comma 3".

Dunque, giova ribadirlo, il datore di lavoro è tenuto a fornire materialmente, a consegnare al RLS, previa richiesta scritta (forma necessaria a fini probatori) finalizzata esclusivamente all'esercizio delle sue funzioni di rappresentante del diritto alla sicurezza e alla salute dei lavoratori, tutte le informazioni e la documentazione (cartacea, se così desidera il RLS) sulla valutazione dei rischi in forma tale da consentirgli l'esercizio del fondamentale diritto di disporre della documentazione aziendale in materia di igiene e sicurezza del lavoro previsto dagli articoli citati.
In particolare i datori di lavoro forniscono al RLS la documentazione aziendale inerente il percorso valutativo e le misure d'intervento previste, nonché quella tecnica inerente le sostanze, gli impianti, l'organizzazione e gli ambienti di lavoro.
La documentazione deve essere fornita nella forma che il RLS ritiene più agevole per l'esercizio di quello che è un diritto suo, e non dell'azienda, perciò l'azienda non può in alcun modo ostacolare tale diritto pretendendodi imporre arbitrariamente una forma di consultazione di suo gradimento, ad esempio informatica, qualora il RLS ne pretenda a consegna in forma cartacea (si veda oltre nella sentenza che si riporta).
Il RLS deve avere effettiva conoscenza di quanto scritto nel documento di valutazione dei rischi, anche perché il datore di lavoro deve dimostrare di avere adempiuto all'obbligo di consultarlo in ordine alla valutazione dei rischi, come prescritto dall'art. 29 comma 2 del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, e la dimostrazione ben difficilmente potrebbe essere fornita nel caso in cui il RLS sia completamente ignaro dei contenuti di tale documento.
In effetti sembra ragionevole dedurre che solo dando al RLS la più ampia informazione sulla valutazione dei rischi si possa dimostrare di averlo effettivamente consultato e, dunque, coinvolto nel processo di valutazione dei rischi.

Il modo in cui la conoscenza della documentazione aziendale in materia di sicurezza viene fornita al RLS può non essere univoca. Se si tratta di documenti molto complessi o di aziende molto grandi, fornire solo copia del documento di valutazione dei rischi potrebbe essere meno utile ai fini della effettiva conoscenza rispetto ad una particolareggiata esposizione dei contenuti dello stesso documento nel corso di una specifica riunione ad hoc.

Perché l'informazione e/o la documentazione non sia trasmessa in modo burocratico, è necessario che si prevedano quindi incontri di coordinamento informativo fra le parti per l'esposizione “integrata” delle informazioni da fornire o dei documenti da sottoporre all'attenzione.

La magistratura ha affermato che “tenuto conto del ruolo effettivo e non meramente formale del RLS […] lo stesso abbia diritto alla materiale consegna dei documenti”, ovviamente in copia, necessaria per svolgere appieno le sue funzioni [parere della Procura della Repubblica di Milano del 29 gennaio 1998 in risposta a una richiesta di chiarimento presentata dalla Azienda u.s.s.l. 40 di Milano]. È da dire inoltre che ben difficilmente la consegna di copia del documento sulla valutazione dei rischi potrebbe comportare una violazione del segreto industriale (a cui il RLS è comunque tenuto).

La circolare ministeriale 3 ottobre 2000 numero 68, avente ad oggetto l’“accesso del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza al documento di valutazione dei rischi. Chiarimenti interpretativi”, fornisce indicazioni utili sui “problemi interpretativi circa l'effettiva portata dell'onere di consegna del documento di valutazione del rischio al rappresentante dei lavoratori da parte del datore di lavoro”.

La circolare precisa che “il “diritto di accesso” al documento di valutazione del rischio (...) va in ogni caso assicurato, in via ordinaria, mediante la materiale consegna del documento” e “solo in via eccezionale, qualora obiettive esigenze di segretezza aziendale legata a ragioni di sicurezza o particolari oneri di riproduzione non rendano praticabile tale consegna, il datore di lavoro potrà assicurare altrimenti il diritto di accesso del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza mediante forme e modalità che consentano comunque la messa a disposizione del documento di valutazione del rischio”.

Dunque, giova ribadirlo, meccanismo individuato dalla legge vigente richiede una preventiva richiesta scritta del documento di valutazione dei rischi da parte del RLS (questo vale solo per il documento, dato che ogni altra informazione va comunque consegnata al RLS, che la riceve a prescindere da una esplicita richiesta), e la successiva fornitura di copia dello stesso da parte del datore di lavoro, eventualmente tramite il servizio aziendale di prevenzione e protezione.

Il diritto del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza a ricevere la documentazione e le informazioni rilevanti in materia di salute e sicurezza del lavoro, pur imposta al datore di lavoro – anche prima dell’esplicitazione contenuta nell’art. 3 della legge 123/2007 - dall'art. 18 del D.Lgs. 626/94 prima, e ora in modo indiscutibile dai citati articoli del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 è stata spesso oggetto di resistenze giuridicamente illegittime da parte di alcuni datori di lavoro.

Con una significativa sentenza del Tribunale di Pisa del 7 marzo 2003 [Giudice G. Schiavone, Ricorrente Segreteria Provinciale CO.I.SP, Resistente Questore di Pisa], il tema è stato oggetto di un chiarimento importante. La sentenza è stata così massimata [da Guida al Lavoro, il settimanale de Il Sole 24 ore (n. 13 del 29 marzo 2003 pag. 44)]:
“al rappresentante per la sicurezza si applicano, ai sensi dell’articolo 19, comma 4, del D.Lgs. 626/94, le stesse tutele previste dalla legge per le rappresentanze sindacali, ivi compresa la tutela ex art. 28 st. lav.
È, pertanto, da ritenersi antisindacale la condotta del datore di lavoro che abbia omesso, nonostante le reiterate richieste da parte del rappresentante per la sicurezza, di fornirgli i documenti e le informazioni riguardanti il piano per la sicurezza, la valutazione dei rischi, il parere del medico competente ed ogni altra comunicazione relativa ai provvedimenti che il datore intendeva adottare ai fini dell'adeguamento dei locali di servizio a quanto stabilito dal D. Lgs. n. 626/94 [nel caso di specie, il Giudice ha accertato la sussistenza della condotta antisindacale nel comportamento di un dirigente dell'Amministrazione pubblica per aver omesso di rilasciare al rappresentante per la sicurezza, che nello specifico era anche segretario provinciale del sindacato Coisp, le informazioni e i documenti attestanti l'adempimento degli obblighi di salute e sicurezza relativamente ai locali di servizio mensa]”.

Il Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81 art. 18 comma 1 lettere o) e p) ha finalmente sancito in modo legislativamente inequivoco l’obbligo del datore di lavoro di consegnare materialmente il documento di valutazione dei rischi e il registro infortuni al RLS (benché anche prima di tale legge, come dimostrato, sussistesse tale obbligo), ponendo fine ad una annosa questione e rendendo così esplicitamente illegittima qualsiasi resistenza da parte dei datori di lavoro rispetto a tale consegna.


2. Rls e Dvr: una interpretazione del Ministero del lavoro contra legem
Secondo il Ministero del lavoro, in persona del Direttore generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro del Ministero del Lavoro Paolo Pennesi, con risposta ad interpello n. 52 del 19 dicembre 2008, risposta che non ha alcuna validità erga omnes e che è smentita dalla sentenza che si riporta più oltre, è da ritenersi che “non essendo prevista alcuna formalità per la consegna del documento (di valutazione dei rischi lavorativi di cui agli articoli 17 comma 1 lettera a e 28 del D.Lgs. n. 81/2008), l’adempimento all’obbligo di legge è comunque garantito mediante consegna dello stesso su supporto informatico, anche se utilizzabile solo su terminale video messo a disposizione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza giacché tale modalità, consentendo la disponibilità del documento in qualsiasi momento ed in qualsiasi area all’interno dei locali aziendali, non pregiudica lo svolgimento effettivo delle funzioni del RLS.”.

L'interpello cita il comma 5 dell’art. 53 del medesimo decreto che "stabilisce che tutta la documentazione rilevante in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro e tutela delle condizioni di lavoro possa essere tenuta su unico supporto cartaceo o informatico.”
Incredibile l'acrobazia verbale con la quale si trasforma l'obbligo di “consegna” del documento all'unico soggetto che rappresenta l'interesse di lavoratori alla sicurezza e salute in mera “messa a disposizione” da intendersi: il documento lo vedi ma non te lo consegno. Stupisce che il ministero del lavoro impieghi il tempo e il denaro dei contribuenti nel perdere tempo ad escogitare cervellotiche, ma illegittime ed illegali, modalità elusive di chiari ed espliciti dettati normativi.
La "soluzione" suggerita con questa risposta, oltre all'evidente problema di chi paga tutto il tempo che il RLS impiegherà per leggere al videoterminale il documento di valutazione dei rischi (e non può essere il RLS stesso, ovviamente), in realtà è inapplicabile al Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale, RLST, a meno che non lo si voglia sequestrare in azienda, e poiché è inimmaginabile un trattamento differenziato per Rls e RlsT se ne deve dedurre la illogicità della soluzione prospettata, nonché la sua illegittimità per incompatibilità con l'inequivocabile dettato normativo dell'articolo 18 comma 1 lettera o del D. Lgs. n. 81/2008 che obbliga datore di lavoro e dirigente alla consegna materiale del documento di valutazione dei rischi al RLS, e non alla messa a disposizione sul video terminale aziendale dello stesso, che è cosa del tutto diversa.
Peraltro il riferimento all'articolo 53 del D.Lgs. n. 81/2008 è clamorosamente sbagliato, perché è proprio detto articolo a prevedere esplicitamente che la documentazione di cui al D.Lgs. n. 81/29008, incluso il documento di valutazione dei rischi, può sì essere tenuta in forma elettronica, ma solo a condizione, tra le altre, che "e) sia possibile riprodurre su supporti a stampa, sulla base dei singoli documenti, ove previsti dal presente decreto legislativo, le informazioni contenute nei supporti di memoria", perciò la messa a disposizione su supporto elettronico non è legittima se non consente la stampa dello stesso.

Ciò posto, i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza potranno tranquillamente continuare a richiedere in forma scritta all'azienda copia stampata del documento di valutazione dei rischi, dichiarando che ne faranno un uso esclusivamente correlato alla tutela del diritto alla sicurezza e alla salute dei lavoratori che rappresentano (obbligandosi ad evitare qualunque diffusione arbitraria dello stesso), e potranno altresì ricorrere all'organo di vigilanza competente (producendo copia della richiesta scritta inviata, ad esempio, con raccomandata a.r. con piego, ripiegando il foglio di richiesta su se stesso, chiudendo i bordi) nel caso in cui la richiesta non venisse soddisfatta tempestivamente dal datore di lavoro o dal dirigente delegato per tale compito, ovvero nel più breve tempo possibile, non oltre una settimana dalla richiesta.

La risposta ad interpello ignora poi bellamente il D. Lgs. 6-2-2007 (“Attuazione della direttiva 2002/14/CE che istituisce un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori”) il quale all’articolo 5 “informazioni riservate” disciplina gli obblighi di riservatezza cui sono tenuti i rappresentanti dei lavoratori e gli esperti che li assistono. L’articolo in questione prevede specificatamente (comma 1) che “i rappresentanti dei lavoratori, nonché gli esperti che eventualmente li assistono, non sono autorizzati a rivelare né ai lavoratori né a terzi, informazioni che siano state loro espressamente fornite in via riservata e qualificate come tali dal datore di lavoro o dai suoi rappresentanti, nel legittimo interesse dell'impresa. Tale divieto permane per un periodo di tre anni successivo alla scadenza del termine previsto dal mandato, indipendentemente dal luogo in cui si trovino. I contratti collettivi nazionali di lavoro possono tuttavia autorizzare i rappresentanti dei lavoratori e eventuali loro consulenti a trasmettere informazioni riservate a lavoratori o a terzi vincolati da un obbligo di riservatezza, previa individuazione delle relative modalità di esercizio da parte del contratto collettivo. In caso di violazione del divieto, fatta salva la responsabilità civile, si applicano i provvedimenti disciplinari stabiliti dai contratti collettivi applicati”.
Lo stesso articolo prevede inoltre a tutela dei datori di lavoro che (comma 2) “Il datore di lavoro non è obbligato a procedere a consultazioni o a comunicare informazioni che, per comprovate esigenze tecniche, organizzative e produttive siano di natura tale da creare notevoli difficoltà al funzionamento dell'impresa o da arrecarle danno”.

Al fine di conciliare infine eventuali divergenze tra le parti, il comma 3 dello stesso articolo demanda infine alla contrattazione collettiva la definizione delle controversie prevedendo che “i contratti collettivi nazionali di lavoro prevedono la costituzione di una commissione di conciliazione per le contestazioni relative alla natura riservata delle notizie fornite e qualificate come tali, nonché per la concreta determinazione delle esigenze tecniche, organizzative e produttive per l'individuazione delle informazioni suscettibili di creare notevoli difficoltà al funzionamento della impresa interessata o da arrecarle danno. I contratti collettivi determinano, altresì, la composizione e le modalità di funzionamento della commissione di conciliazione”.


Tribunale Ordinario di Milano - Sezione Lavoro, Udienza del 29 gennaio 2010 N. 7273/09 RGL - Consegna copia cartacea del documento di valutazione rischi: un diritto del RLS