lunedì 31 agosto 2015

articolo di Sinistra Anticapitalista

“Renzi vuole normalizzare il mondo del lavoro. La Cgil però non normalizzi se stessa”. Intervista a Sergio Bellavita

Sembra di capire che la Cgil abbia qualche problema con i lavoratori?

Nello specifico dell’articolo di Repubblica, viene comparato il dato di luglio del 2015 con la chiusura del 2014. Quindi è evidente che c’è una forte differenza nel numero degli iscritti già di per se. Questo non vuol dire che siamo già di fronte a un calo netto di 700mila iscritti però come viene scritto nell’articolo. E’ chiaro che si tratta di una campagna strumentale contro la Cgil. L’obiettivo è cancellare quel che resta di opposizione nell’ambito sociale e nel mondo del lavoro.

Detto questo però la crisi della rappresentanza rimane, o no?

Detto questo è chiaro che un problema c’è. Intanto, il punto vero è che tutti i sistemi sui quali si è discusso a propositio della rappresentanza nell’ottica di dare una quota maggiore di democrazia ai lavoratori hanno rimosso il problema fondamentale, ovvero il potere ai lavoratori e alle lavoratrici di decidere quale sindacato li rappresenta e se gli accordi che vengono sottoscritti vanno bene o no.

Tornando all’inchiesta di Repubblica, non si può non notare che pochi giorni fa fu lo stesso Renzi mettere insieme tessere e crisi del sindacato e, nello stesso tempo, che si tratta di dati che vengono da dentro la Cgil.

Si sono d’accordo. Questo si collega a quanto è accaduto sulla vicenda dei megastipendi Cisl, che si conoscevano da tempo e improvvisamente conquistano la ribalta. E’ in atto una campagna complessiva da parte del Governo che tra tema rappresentanza e diritto di sciopero prende a pretesto qualsiasi questione si presenti per attaccare il sindacato. E’ evidente che c’è il disegno di normalizzare complessivamente le organizzazioni dei lavoratori. Poco importa se sia questa o quella sigla.Vogliono un sindacato addomesticato, che perda ogni idea di confederalità, che non risponda più ai bisogni dei lavoratori ma ai bisogni dell’impresa e dello Stato. Vogliono sotterrare un modello che pur tra tante contraddizioni ha rappresentato per tanti anni potenzialmente un punto di vista alternativo.

Siete stati proprio voi del “Sindacato è un’altra cosa”, e la Fiom, a sollevare in occasione dell’ultimo congresso della Cgil una questione sui numeri della partecipazione ai congressi di base, che in qualche modo è legata al cosiddetto calo delle tessere.

Landini denunciò il fatto che al congresso su 5.600.000 iscritti hanno votato solo un milione. E questo per dire che nelle fasi salienti del congresso non si riuscì ad arrivare alla base. Noi siamo andati ben oltre, dicendo che i numeri congressuali sulle preferenze ai vari documenti e sulla partecipazione sono stati ampiamente truccati. Secondo noi non votò nemmeno quel milione di cui parlò Landini. E grossa parte dei verbali furono compilati a tavolino. Tutte e due queste denunce testimoniano che la trasparenza si è persa in Cgil. E lo stesso tesseramento sul quale abbiamo chiesto lumi senza ricevere chiarimenti non riesce ad essere riportato ad un dato di realtà. L’inchiesta di Repubblica coglie due cose vere, la non trasparenza e la scarsa rappresentanza dei giovani e dei precari. E questo in un momento in cui Renzi sta precarizzando tutti.

Beh, ma la scelta fu all’epoca quella di dar vita al Nidil, invece di affrontare il precariato categoria per categoria.

Una scelta frutto di una ubriacatura ideologica della sinistra di Governo e della Cgil che nei fatti accettò e approvò il pacchetto Treu. Una ubriacatura che ha portato ad immaginare una “categoria di precari”.

Bisognerà tornare a ragionare del modello di sindacato del futuro. Anche perché il Governo sta facendo dei passi sostanziali. La Cgil ha pensato che bastasse aspettare mirando a ridurre il danno, e ora si trova stretta nell’angolo. Qual è lo stato del dibattito dentro la Cgil?

La sconfitta della Cgil sul Jobs act è drammatica e continua a produrre danni mostruosi nel rapporto con i lavoratori e per quanto riguarda la cancellazione dei diritti. Siamo nel pieno dell’onda, e non c’è più nessuna linea né referendaria né di semplice contrasto che tenga. Una parte sempre più grande del gruppo dirigente della Cgil ha esplicitato una linea che dice basta con il sindacato che si mette di traverso contro il governo. "Siamo un sindacato e dobbiamo contrattare". La Cgil si sta adattando, attraverso un processo di “cislizzazione”, su nuovo welfare contrattuale e bilateralità per esempio. Ogni tanto si sente qualche protesta. Agli occhi dei lavoratori non contano le enunciazioni, ma la pratica. Il dibattito in Cgil semplicemente non c’è.

Il prossimo appuntamento sarà la conferenza di organizzazione.

Lo scontro è sulle forme di elezione del nuovo segretario. Tutto qui. E la polemica non ci appassiona. Questo mentre i tre sindacati confederali sono vicini al redde rationem. Non c’è più rapporto con i lavoratori. L’unico spazio è il sindacato corporativo e aziendalista, quello che il Governo concede. Va operata una rottura e ripresa la strada del conflitto durissimo ripartendo dai bisogni reali del mondo del lavoro. Questa discussione la Cgil non la sta facendo e sta andando esattamente nella direzione che il Governo vuole

Da una parte grosse difficoltà nel calcolare la rappresentanza, visto che le aziende non danno i dati sulla trattenuta sindacale, dall’altra un modello che deve essere per forza ultraconcertativo e autodifensivo pena la fine del sindacato. Questo di fatto porta alla formazione, passami il termine, di una casta sindacale. Una soluzione che dal punto di vista dei lavoratori non può durare più di tanto però…

Intanto, bisogna partire da una analisi dell’intesa del 10 gennaio. La parte positiva, tra tante virgolette, è il meccanismo di certificazione degli iscritti che aprirà però una guerra senza precedenti tra organizzazioni. Il lavoratore vorrei far notare può cambiare idea sul sindacato di appartenenza ma questo cambiamento non viene registrato e non c’è nemmeno il diritto a decidere sulla singola vertenza. Hanno costruito un modello, insieme a Confindustria, in cui la vittima sacrificale di quel patto corporativo è il sindacalismo indipendente e antagonista. Ovvero, nel rapporto tra sindacato e impresa si guarda al bene dell’impresa e chi non ci sta è escluso dalla rappresentanza e addirittura i singoli lavoratori potevano essere sanzionati.

Quell'accordo però sta marciando...

Intanto, i padroni hanno subito incassato il passaggio sulle deroghe, il sistema della progressiva spoliazione. E i grandi gruppi stanno riducendo salari e diritti disdettando tutta la contrattazione. Il sindacato ha accettato la morte del contratto nazionale e il passaggio una contrattazione quasi solo aziendale con il segno meno davanti. L'impianto di quell'accordo, però, non sta arrivando in porto perché innanzitutto, sull'esigibilità degli accordi, c’è qualche problema costituzionale e poi perché alcune organizzazioni di base avendolo sottoscritto potranno strappare numerosi consensi con la loro linea di opposizione agli accordi. Il sistema non funziona. Governo e Confindustria vogliono che il conflitto non sia libero, e quindi che ci sia il diritto effettivo di sciopero. L’idea del Governo di stabilire un referendum va proprio in questa direzione e porta al sindacato unico.

Anche il sindacalismo di base è di fronte a un bivio?

Sì, perché se si dovesse riuscire a mettere gli ultimi tasselli all'accordo del 10 gennaio 2014, e impedire al sindacato di rompere il quadro attraverso il conflitto, si porrà un problema sostanziale di democrazia. Questo mi pare evidente.

Qual è il vostro programma per il prossimo futuro?


All’ultima assemblea nazionale del "Sindacato è un'altra cosa" abbiamo deciso di lanciare un appello al sindacalismo conflittuale, Fiom compresa. E’ giunto il momento di costruire degli intersindacali a livello dei territori per sperimentare dal basso delle forme di resistenza. Penso alle lotte dei facchini, per esempio. Va data ai lavoratori l’idea che il sindacato non è un soggetto passivo che accetta la cancellazione di diritti e salari e non dà battaglia sull’occupazione. Dall’altra parte ci sarà la battaglia interna sulla conferenza di organizzazione che sarà un altro tassello della cislizzazione. Se quella conferenza confermerà il documento di maggioranza saremo di fronte a uno scenario preoccupante di deriva e di chiusura degli spazi democratici all'interno della stessa Cgil.

di Fabio Sebastiani (da controlacrisi.org)

domenica 30 agosto 2015

NO ALLA ADESIONE DI USB AL T.U. RAPPRESENTANZA - PER IL SINDACATO DI CLASSE !

Di Mariopaolo Sami

CHI SAPEVA CHE IL NOSTRO SINDACATO (USB) AVEVA ADERITO AL PROTOCOLLO D'INTESA DEL 31 MAGGIO 2013 ?

La firma al Testo Unico sulla Rappresentanza, decisa il 23 maggio dal Consiglio Nazionale Confederale, eseguita il 3 luglio, accettata da Confindustria il 30 luglio, ha scatenato una REAZIONE MOLTO POSITIVA in seno a USB, in difesa del sindacalismo di classe, contro la deriva concertativa conclamata.
Una reazione che per vigore è stata superiore a quelle passate, che non sono mancate, alla linea politica della dirigenza e ai suoi metodi di gestione del sindacato (il primo congresso di USB fu a MOZIONE UNICA, cosa nemmeno in CGIL mai successa!).
Il merito non va tanto a noi stessi, promotori della battaglia per il RITIRO DELLA FIRMA DI USB DAL TU, ma proprio alla dirigenza, sia per il merito della sua scelta – che come scritto nero su bianco da Sabatini e Palmieri comporta la VIOLAZIONE DELLO STATUTO e la DEMOLIZIONE DELLA LINEA POLITICA di USB – sia per l'inqualificabile METODO con cui si è giunti ad essa, pienamente degno dei sindacati di regime.
Ma nel corso di questa nostra cruciale battaglia – che da giugno ad oggi ci ha visto intervenire, per diffondere e sostenere il nostro documento, in varie riunioni locali (Bologna, Milano, Genova, Firenze, Napoli, Venezia, Lecco, Perugia), al coordinamento nazionale dei lavoratori del Ministero dei Beni Culturali (che ha preso una posizione contraria, purtroppo tiepidamente, all’adesione di USB al TU), nelle manifestazioni di USB scuola a Bologna e Roma, e ci ha visti organizzare due riunioni interne del nostro coordinamento di lotta a Milano e Roma – siamo giunti a scoprire un fatto ancora più grave.
USB, infatti, aveva già aderito al PROTOCOLLO D'INTESA DEL 31 MAGGIO 2013, di cui, insieme all'Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011, il TU sulla Rappresentanza è il completamento e compimento, per unanime affermazione di Confindustria, sindacati confederali e... dirigenza USB.
L'adesione al protocollo del 31 maggio 2013 è stata confermata da Sabatini, durante la Conferenza Organizzativa della Liguria di sabato 27 giugno. Ma era già stata segnalata dal comunicato del 27 maggio con cui la Confederazione Cobas, il primo dei sindacati di base ad aver compiuto questo autentico tradimento del sindacalismo di classe, annunciava l'adesione di USB sbeffeggiando la linea di condotta fino ad allora tenuta dal nostro sindacato: “Le nuove regole su contrattazione collettiva, rappresentanza sindacale ed elezioni delle RSU contenute nei tre accordi interconfederali del 28 giugno 2011, 31 maggio 2013 e 10 gennaio 2014, i primi due peraltro sottoscritti da USB già da luglio 2013...”.
Secondo la Conf. Cobas quindi USB aveva già aderito anche all'Accordo del 28 giugno 2011! Di ciò non abbiamo ancora avuto conferma.
CHI SAPEVA NEL NOSTRO SINDACATO DI QUESTA ADESIONE/I? QUASI NESSUNO!
DA CIÒ SI TRAGGONO LE SEGUENTI CONCLUSIONI:
- il metodo utilizzato per approvare il TU, in fretta e furia, violando lo statuto (in quanto l'adesione al TU comporta il cambiamento della linea politica del sindacato e perciò poteva essere decisa solo da un congresso straordinario, non dal Consiglio Nazionale Confederale), non è stato un ERRORE ECCEZIONALE, dettato dalle circostanze, ma è una PRASSI REITERATA, in quanto nel luglio 2013 si è fatto ancora di peggio, firmando senza che nessuno ne sapesse nulla.
- tutta la lotta contro il TU sulla Rappresentanza, dalla sua firma il 10 gennaio 2014 fino a maggio 2015, era condotta da una dirigenza evidentemente pronta fin dall'inizio a tradirla per saltare sul carro del sindacalismo concertativo, viste le firme dei due accordi precedenti.
- l'affermazione contenuta nel ricorso alla magistratura civile di USB del 19 marzo 2014 contro il TU Rappresentanza - “ADERIRE ALLE PARTI III, IV E ALLE CLAUSOLE FINALI [del Testo Unico sulla Rappresentanza] COMPORTEREBBE LA VIOLAZIONE DELLO STATUTO E IL CROLLO DELLA PROPRIA LINEA DI POLITICA SINDACALE” - è stata fatta sapendo di aver già consumato questo tradimento del sindacato firmando il Protocollo d'Intesa del 31 maggio e, probabilmente, l'Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011.

Evidentemente si tratta di una condotta che non ammette né giustificazioni né comprensione, al punto che la reazione o meno contro di essa battendosi nel nostro sindacato si pone come discriminante fra chi è in grado di difendere il sindacalismo di classe e chi può solo servire, volente o nolente, alla sua svendita.

sabato 29 agosto 2015

Quelle diecimila poltrone dei sindacati.

il Fatto Quotidiano, lunedì 24 agosto 2015

 In Cgil, Cisl e Uil spesso stipendi da super manager. Ma ci sono anche migliaia di incarichi di enti, fondi e istituti collaterali, non controllati e nascosti ai più.

Gli stipendi d’oro dei sindacalisti fanno scandalo. Ma costituiscono solo la punta di un iceberg più corposo. I 336 mila euro di Raffaele Bonanni(l’anno prima di andare in pensione), i 256 mila di Antonino Sorgi, dell’Inas-Cisl o i 262 mila euro del segretario della Fisascat-Cisl, Pierangelo Raineri (262 mila), fanno impressione. Ma non si tratta solo di furbizia o malversazione.
Certi redditi sono possibili anche per l’enorme quantità di enti, fondi, comitati che affiancano la vita del sindacato, di cui poco si conosce e che il Primo Rapporto sugli Enti bilaterali redatto da Italia Lavoro (767 pagine) aiuta a capire meglio anche se i rivoli sono infiniti come dimostra il caso degli Enti di formazione che vedremo più avanti.
Bilaterale a vita
Sono più di 10 mila le poltrone “bilaterali”. Gli Organismi da cui derivano nascono nei contratti di lavoro ed erogano servizi di assistenza previdenziale, sanitaria, formazione, sostegno al reddito. Sono per lo più “associazioni non riconosciute” che non presentano bilanci pubblici e, soprattutto, non sono sottoposti a nessun controllo.
Alcuni esulano dalla definizione istituzionale come l’Enasarco che gestisce la previdenza degli agenti di commercio, ma sempre in base a un accordo tra le parti sociali. Uno status ancora differente è quello dell’Inpgi, l’istituto previdenziale dei giornalisti, che pure è controllato dalla categoria.
Ci sono, poi, i Fondi previdenziali, quelli sanitari, i Fondi per la formazione professionale. Generano presidenze ambite, vicepresidenze ben retribuite, gettoni di presenza a piovere. Una rete finanziata dal “monte salari” (anche se formalmente sono le imprese a versare i contributi) con un prelievo dello 0,30 -0,50% in busta paga che può arrivare all’1%. Per i fondi previdenziali e sanitari ( i primi sotto il controllo del Covip e i secondi dell’Anagrafe del ministero della Salute) si arriva anche al 3-4%). I 536 fondi previdenziali, nel 2013, gestivano 104 miliardi di euro per 5,8 milioni di iscritti. I 260 fondi sanitari avevano 7 milioni di iscritti e i 545 Enti bilaterali (di cui solo 29 nazionali) abbracciano la gran parte del lavoro dipendente. Ci sono poi i 21 Fondi Interprofessionali, una serie di Fondi di solidarietà regolamentati dalla legge Fornero, e altre strutture minori. Si tratta di oltre 1300 organismi in cui, nei consigli di amministrazione, non ci sono mai meno di sei membri (tre per Cgil, Cisl e Uil e tre di parte datoriale). Più spesso si supera il numero di dieci. Da qui, la cifra di oltre 10 mila poltrone più o meno retribuite. Quanto?
Posti da 70 mila euro
Secondo un studio della Filcams-Cgil, sindacato del commercio in cui gli Enti bilaterali abbondano, “i compensi per la presidenza e gli altri organi variano nelle diverse realtà (…) fino a raggiungere indennità elevatissime – 70 mila euro annui – per la Presidenza”. I regolamenti sindacali imporrebbero di versare gettoni e indennità alla propria associazione ma spesso non accade. Oppure non ci sono le sanzioni. Quel che è peggio, nota la Filcams, è che la quantità di risorse destinate ai servizi “non supera quasi mai il 50% dei contributi incassati”. Soldi sicuri per i super-stipendi, meno per i servizi da erogare.
Uno dei nomi reso pubblico da Fausto Scandola, Pierangelo Raineri, è segretario della Fisascat Cisl, consigliere dell’Enasarco, consigliere del fondo di sanità integrativa Est, presidente della cassa di assistenza sanitaria Quas. I suoi 262 mila euro si spiegano anche così. Un altro caso è quello di Brunetto Boco, segretario della UilTucs ma anche presidente dell’Enasarco, incarico per il quale percepisce 135.324 euro lordi annui a cui aggiungere 270 euro per ogni seduta del Cda. L’Enasarco ha in bilancio la bellezza di 1,3 milioni di euro per il funzionamento dei suoi organi statutari (48 mila euro di Raineri vengono da qui). Ma Boco è anche vicepresidente del fondo Est, che ha messo a bilancio 420 mila euro per il funzionamento degli organi. Il suo reddito è quindi paragonabile a quello dei dirigenti Cisl contestati. Il Fonchim (chimici), primo fondo italiano con 4,7 miliardi di patrimonio gestito, è presieduto dal professor Adriano Propersi, indicato dalle imprese, mentre il vice è il sindacalista Femca Cisl, Paolo Bicicchi che, prima di passare al Fonchim era vicepresidente di un altro fondo, il Pegaso. Nel Cda, per la Cgil, siede Alberto Morselli che è stato fino al 2012 il segretario generale della categoria. Fonchim destina agli organi statutari 588 mila euro annui e spende per la gestione 1,2 milioni di euro. Il Fondo Cometa, dei metalmeccanici, è presieduto dall’ex segretaria Fim, Annamaria Trovò, ha dodici componenti per il Cda e spende per i suoi “organi”, 250 mila euro annui più 1,1 milioni per il personale.
Giornalisti manager
È invece un ente di diritto privato controllato dal ministero del Lavoro, l’Inpgi, l’istituto dei giornalisti il cui Cda è formato da 16 componenti di cui 11 eletti nella categoria. Il presidente, Andrea Camporese – indagato per il caso Sopaf – guadagna 255.728 euro annui a cui vanno aggiunti 60 mila euro di “ristoro del danno da aspettativa non retribuita”. Totale, 315 mila per un istituto per il quale si è appena resa necessaria una manovra di aggiustamento. Camporese è stato segretario dei giornalisti del Veneto e il suo vice, Paolo Serventi Longhi, 43.148 euro di indennità, è stato il segretario della Fnsi.
Trattandosi di centinaia e centinaia di enti, la pratica del doppio incarico è molto diffusa. Come Raineri, quattro incarichi anche per Paolo Andreani, segreteria UilTucs, vicepresidente della Coopersalute, presidente di Quadrifor, consigliere Quas; Ferruccio Fiorot, segreteria Fisascat, presidente dell’ente Ebinter, consigliere dell’ent Ebnter, direttivo nel fondo Est; Fabrizio Russo, della Filcams-Cgil, è nel consiglio Ebinter, in quello di Ebnter e nel Comitato del fondo Est. Curioso il caso di Michele Carpinetti, Cgil, presidente di Ebnter, consigliere di Ebinter ed ex sindaco di Mira, cittadina veneta dove è stato sconfitto dal Movimento 5 Stelle.
Fondi senza controllo
Fondimpresa è il più grande Fondo di formazione professionale. Sono in tutto 21, gestiscono circa 600 milioni l’anno derivati dal contributo dello 0,30% sul monte stipendi versato dalle aziende all’Inps che a sua volta lo gira ai fondi. Fondimpresa nel 2014 ha gestito 363 milioni, il 47% del totale. Alle spese di gestione ha destinato oltre 5 milioni, mentre 347 milioni sono andati direttamente alla formazione. I 2,5 milioni stanziati per “personale e organi statutari”, però, rendono comunque appetibile il suo Cda. Non a caso presieduto dall’ex presidente di Confindustria, Giorgio Fossa, mentre Cgil, Cisl e Uil vi hanno designato un ex segretario di categoria, Bruno Vitali della Fim-Cisl, il responsabile dei fondi interprofessionali della Cgil, Luciano Silvestri e l’ex segretario confederale Uil, Paolo Carcassi.
I Fondi interprofessionali attualmente non rendono conto a nessuno. Al loro interno può capitare, e capita spesso, quello che è avvenuto alla Fisascat (ancora!) di Roma e Lazio il cui segretario, Giuseppe Pietro Janni (ora fuoriuscito) tramite una srl, la So.GE.L. controllava l’ente di formazione (Micene Srl) che gestiva i corsi di formazione appaltati dal suo stesso sindacato.
Ma si può fare anche di meglio e senza occhi indiscreti. Si prenda il caso degli Enti di formazione finanziati dalla legge 40/1987. Il Fondo presso il ministero del Lavoro ammonta a circa 13 milioni di euro e viene erogato a enti emanazione dei sindacati o del movimento cooperativo. Uno di questi è lo Ial controllato per il 40% dalla Cisl nazionale e per il resto dalle strutture regionali e di categoria. Nel 2014 ha ottenuto circa 1,3 milioni di contributi, la metà del suo fatturato. Lo Ial finì sotto i riflettori di Report per un presunto finanziamento alla squadra di calcio del Palermo quando era presidente Sergio D’Antoni.
Il suo amministratore è Graziano Treré già segretario organizzativo della Cisl quando la dirigeva lo stesso D’Antoni. Ora è l’amministratore unico e guadagna 177.593 euro l’anno. Nella relazione all’assemblea annuale, che ha dovuto approvare 380 mila euro di deficit, è stato molto esplicito: “Occorre convogliare tutta l’attività formativa a cui la Cisl può accedere sul fronte della bilateralità e dei Fondi professionali verso lo Ial”. Senza “forme di anomala concorrenzialità”. Poi si rallegra per l’acquisizione della società Anapia, impegnata nella formazione professionale veneta: “Beneficia di un finanziamento annuale ormai consolidati dalla Regione Veneto di 550 mila euro e di un altro da 390 mila”. Bingo.

Salvatore Cannavò

venerdì 14 agosto 2015

AGOSTO 2015: LE LOTTE QUEST'ANNO NON VANNO IN VACANZA

Dallo sciopero all'Ikea alla vertenza Bridgestone, dai picchetti della logistica ai precari della scuola, dalla resistenza dei migranti fino alle lotte al Comune e nei trasporti a Roma

Quest'anno l'estate italiana è stata molto calda, non solo dal punto di vista climatico. Anche ad agosto - mese in cui tradizionalmente le lotte subiscono un netto calo a causa delle vacanze estive - i lavoratori di diverse aziende sono scesi in sciopero in varie regioni d'Italia.
Citiamo, in questo articolo, le vertenze che gli attivisti di No Austerity sono riusciti a seguire direttamente, portando solidarietà alle lotte. Ma il quadro è solo parziale: diverse altre sono le lotte che in questi giorni attraversano il Paese, lasciando prevedere l'arrivo di un autunno molto combattivo.

A partire da inizio agosto, le lavoratrici e i lavoratori dell'Ikea di vari stabilimenti d'Italia - da Milano a Genova, da Firenze a Bologna, da Brescia a Padova - sono scesi in sciopero, in molti casi per più giorni consecutivi. L'azienda, infatti, ha deciso di disdettare il contratto integrativo, cosa che comporterà, a partire dal primo settembre, il taglio del 20% dei salari dei dipendenti dell'azienda. A Milano (Carugate), dove gli attivisti di No Austerity hanno partecipato alla lotta e ai picchetti, gli scioperi hanno visto un'ampia partecipazione di lavoratrici e lavoratori, col sostegno anche di solidali. L'ultimo giorno di sciopero, molto partecipato nonostante la pioggia scrosciante, si è svolto lunedì 10 agosto a partire dalle 4.30 del mattino: sono stati bloccati i camion che cercavano di accedere allo stabilimento per scaricare le merci.

In questi stessi giorni, a Roma sono in corso varie importanti vertenze: la lotta dei lavoratori dei trasporti dell'Atac e di Tpl e l'agitazione delle lavoratrici e dei lavoratori del Comune. Il 7 agosto i lavoratori di Atac e Tpl sono scesi in sciopero contro la privatizzazione del trasporto pubblico. Uno sciopero che viene dopo un mese di mobilitazioni nella Capitale e che ha visto il licenziamento di Christian Rosso, lavoratore Atac "colpevole" secondo l'azienda di aver denunciato con un video postato su facebook i disservizi dell'azienda dei trasporti. Grazie alla campagna per il reintegro, sostenuta anche da No Austerity, il licenziamento è stato ritirato e convertito in qualche giorno di sospensione: un'importante vittoria dei lavoratori.
Negli stessi giorni (3 agosto) i lavoratori del Comune di Roma (che da mesi sono in mobilitazione) hanno proclamato, col sostegno di diverse sigle del sindacalismo di base, lo stato di agitazione contro la modifica unilaterale del contratto collettivo decentrato e contro il conseguente peggioramento delle condizioni di lavoro (turni di lavoro prolungati, flessibilità oraria a comando, gerarchizzazione dei ruoli, ecc) e della qualità dei servizi. Sono ancora in corso le mobilitazioni nel settore di scolarizzazione rom, sinti e mediazione interculturale, nel settore dell'assistenza ai disabili nelle scuole (Aec) e dei servizi educativi convenzionati e dei canili in contrasto agli appalti al ribasso e ai bandi di gara sui quali ad agosto: si susseguono presidi, incontri (l'ultimo l'11 agosto con l'assessora alle politiche sociali di Roma Capitale), per mantenere inalterati posti di lavoro, continuità dei servizi alla cittadinanza e per proseguire la lotta contro il sistema di Mafia Capitale e gli appalti di servizi pubblici e sociali.

Non si ferma nemmeno la protesta dei precari della scuola contro la cattiva scuola di Renzi, contro un piano di assunzioni di lavoratori e lavoratrici della scuola che rappresenta una vera e propria deportazione forzata. Infatti, decine di migliaia di insegnanti, dopo 10, 15 o 20 anni di precariato, rischiano di lavorare, a partire dal prossimo anno scolastico, in province molto lontane da quella in cui vivono. Il ministero, infatti, assumerà i precari sui posti disponibili, in tutte le province d'Italia, senza tenere conto né delle preferenze dei precari né della provincia di appartenenza. Un vero e proprio trauma per tanti lavoratori (l'età media dei precari della scuola è 40 anni, la maggioranza donne con figli), tanto che molti stanno rinunciando a fare domanda di assunzione, preferendo rischiare di restare precari ancora per lunghi anni piuttosto che sottoporsi alla deportazione forzata. Ai precari viene infatti negata qualsiasi possibilità di scelta: il rifiuto di una posto di lavoro in una scuola (ovunque essa sia, magari a migliaia di km da casa...) comporta il licenziamento in tronco. Dopo anni e anni di precariato, una vera e propria umiliazione! Per questo, anche in questi giorni sono in corso sit-in dei precari in varie città d'Italia (Napoli, Cagliari, ecc.).

A Bari le realtà che aderiscono al coordinamento No Austerity stanno sostenendo attivamente la lotta dei lavoratori della Bridgestone. L'azienda ha, infatti, annunciato il licenziamento di 200 operai, oltre al taglio dei salari e la sospensione del pagamento degli straordinari. Alcuni dirigenti sindacali complici, in accordo con l'azienda, hanno proposto un referendum interno per sottoporre ai lavoratori questo piano aziendale dando indicazione per il SI: i lavoratori invece hanno risposto con un netto NO! E' nato un comitato operaio che, col sostegno di No Austerity e di attivisti politici del territorio, rilancerà a fine agosto le mobilitazioni.

Non si sono fermati, nonostante il caldo afoso, nemmeno i picchetti degli operai della logistica in Emilia Romagna. A Piacenza i facchini hanno organizzato diversi scioperi con picchetto per il riconoscimento dei diritti di rappresentanza sindacale e per rivendicazioni salariali (pagamento al 100% delle ferie e pagamento degli straordinari): bloccate nei primi giorni di agosto sia la AD (ex UPIM) di Pontenure che la ND di Piacenza. A Bologna, dal 4 agosto sono in sciopero i lavoratori della Camst, che protestano contro la mancata erogazione dei salari. L'azienda ha chiamato la celere per cercare di intimidire i lavoratori. A Cesena sono scesi in sciopero i facchini dell'Artoni, ottenendo l'apertura di un tavolo di trattative per il ricollocamento di un gruppo di lavoratori licenziati. La lotta proseguirà nei prossimi giorni, poiché l'azienda si dimostra sorda alle richieste dei lavoratori. 

Ma ad agosto non si ferma nemmeno la tragedia dei migranti che arrivano sulle coste del Sud Italia, in particolare in Sicilia, costretti a subire le ignobili politiche razziste dei governi di tutta Europa. Il 5 agosto al largo della Libia, verso la Sicilia, un barcone con 700 migranti si è capovolto: si parla di centinaia di vittime, di cui sono responsabili anzitutto le leggi razziste dei governi europei, che ostacolano i soccorsi in mare e impediscono ai migranti di accedere con facilità in Europa. Il 10 agosto circa 1500 disperati hanno cercato di raggiungere le coste della Sicilia, tra cui molti minorenni e anche alcune donne in stato di gravidanza. Il dramma che i migranti subiscono sulle coste italiane è simile a quello delle isole greche: a Kos centinaia di migranti (soprattutto afghani e siriani, in fuga dalle guerre) si sono ribellati a un vero e proprio internamento in uno stadio imposto dalle autorità locali. La ribellione ha avuto come risposta una pesante repressione da parte della polizia. No Austerity è al fianco dei migranti, contro tutte le politiche razziste!

Nel sostenere attivamente le lotte in corso, No Austerity fa appello all'unificazione delle mobilitazioni, per costruire un ampio fronte di lotta contro lo sfruttamento, contro il razzismo e contro le politiche di austerità imposte dai governi e dai padroni.

No Austerity - Coordinamento delle Lotte

domenica 2 agosto 2015

Strage Bologna: 2 agosto, un sabato di sangue e choc 35 anni fa il boato



Due agosto 1980: era sabato, un caldo sabato di esodo. Le code in autostrada dovevano essere, come da 'copione' collaudato del periodo, l'argomento del giorno per quotidiani e tg.  A meta' mattina, invece, un'esplosione alla stazione centrale di Bologna spezzo' nel sangue la tranquilla routine del rito delle vacanze, rigettando il Paese nell'incubo del terrorismo: 85 morti e 200 feriti il bilancio finale della strage piu' sanguinaria nella storia italiana. Alle 10:25 (l'ora della tragedia rimarra' impressa, come ricordo incancellabile, nelle lancette ferme del grande orologio che si affaccia sul piazzale della stazione) un boato squarcia l'ala sinistra dell'edificio: la sala d'aspetto di seconda classe, il ristorante, gli uffici del primo piano si trasformano in un cumulo indistinto di macerie e polvere.
Rimane colpito anche il treno Adria Express 13534 Ancona-Basilea, fermo sul primo binario. Pochi istanti, interminabili, e fra nuvole di detriti si cominciano a intravedere immagini di corpi devastati, feriti in condizioni disperate, taxi in attesa nel parcheggio esterno trasformati in bare dalle lamiere informi. Nel ristorante-bar self service perdono la vita sei lavoratrici. Ovunque lacrime, choc, urla strazianti. E poi polvere, tanta polvere, che entra in gola e soffoca il pianto smarrito di passeggeri che aspettavano solo di partire per le vacanze o per riabbracciare i familiari.
Molti, ora, cercano solo di ritrovare voci e volti di parenti e amici. Comincia un'opera ininterrotta, interminabile, per i tantissimi soccorritori, una catena spontanea che in pochissimo tempo rimette in moto una citta' che stava 'chiudendo per ferie'.
Inizia anche la conta della vittime: la piu' piccola e' Angela Fresu, appena tre anni, poi Luca Mauri di 6, Sonia Burri di 7, e via via fino a Maria Idria Avati, di ottant'anni, e Antonio Montanari, di 86, in una tabella di morte che cancella persone di ogni eta', provenienza, storia di vita. Interviene anche l'Esercito, mentre il silenzio irreale del centro citta' e' squarciato senza tregua dalle sirene di ambulanze, vigili del fuoco, forze dell'ordine. Un bus Atc della linea 37 diventa simbolo di quel 2 agosto perche' si trasforma in un improvvisato carro funebre che fa la spola con la Medicina legale di via Irnerio, a poca distanza, per trasportare le salme. Una surreale corsa diretta stazione- obitorio. Le ambulanze servono invece per i vivi, che vengono smistati in tutti gli ospedali, dove rientrano in servizio medici e infermieri.
"Mi dissero di portare via i cadaveri con il bus - e' la testimonianza di Agide Melloni, autista di quella vettura Atc 4030 - Dal mattino alle tre di notte, con i lenzuoli bianchi ai finestrini. Ma in ogni viaggio c'era sempre qualche soccorritore con me, per sostenermi". Le prime ipotesi investigative parlano dello scoppio di una caldaia ma nel punto dell'esplosione non ci sono caldaie, e la fuga di gas viene presto scartata per lasciare spazio alla vera causa della strage: una bomba ad alto potenziale. In stazione arriva, commosso e impietrito, il presidente della Repubblica Sandro Pertini.

Quella stessa sera piazza Maggiore si riempie di bolognesi, attoniti e sgomenti. La citta' si ritrova nel lutto e da subito chiede la verita', sei anni dopo un'altra strage estiva, la notte dell'Italicus, sull'Appennino bolognese: 4 agosto '74, 12 morti e 44 feriti. A tarda notte alla Medicina legale, dove le celle frigo sembrano non riuscire a contenere cosi' tanti cadaveri, un maresciallo dei Cc continua a tentare di dare un nome a quei corpi. L'identita' di vite dissolte, affidata a volte solo a brandelli di indumenti, ad un anello, a quello che rimane di un documento.

articolo tratto dal sito : www.ansa.it

sabato 1 agosto 2015

C'era una volta il diritto di sciopero

Con nauseante pertinacia il governo, con il supporto di una massiccia campagna mediatica, rilancia l'iniziativa per una stretta della legislazione antisciopero, in particolare nei settori del trasporto e dell'igiene urbana.
Il meccanismo retorico che viene, anche grazie al fatto che i media nel periodo estivo cercano notizie scandalistiche, messo in atto è sin banale: si prende qualche caso di disagio, reale o presunto, per i cittadini per additare i lavoratori come nemici dell'interesse generale. Lavoratori contro consumatori dunque come se la gran parte dei cosiddetti consumatori non fosse composta da  lavoratori e come se non fosse interesse in primo luogo dei lavoratori il buon funzionamento dei servizi pubblici.
L'obiettivo  immediato di questa campagna è evidente: lo smantellamento e la privatizzazione dei trasporti pubblici locali e delle imprese addette all'igiene urbana.
Rendere pressoché impossibile la mobilitazione dei lavoratori di questi comparti favorirebbe di conseguenza questa operazione che interessa le imprese intenzionate a conquistare questi mercati e il ceto politico che gestirebbe la dismissione dei servizi.
Il dispositivo tecnico giuridico che alcuni parlamentari da tempo distintisi come avversari dei lavoratori, in particolare Pietro Ichino e Maurizio Sacconi, propongono è in apparenza "democratico": riservare ai sindacati "maggiormente rappresentativi" e sottoporre a referendum vincolante il diritto all'indizione degli scioperi.
In realtà in questo modo si mette in opera un meccanismo micidiale che porterebbe all'impossibilità effettiva di scioperi efficaci. Basta domandarsi infatti chi gestirebbe i referendum in questione, che effetto avrebbe il frapporre tempi lunghi fra l'inizio delle procedure e l'indizione dello sciopero, che impatto avrebbe uno sciopero sottoposto a tanti vincoli.
Dobbiamo porci soprattutto una domanda radicale, la rappresentanza formale dei lavoratori misurata attraverso il numero degli iscritti a questo o a quel sindacato e ai voti in occasione delle elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie ha una qualche effettiva relazione con la volontà dei lavoratori stessi per quanto riguarda le richieste salariali e normative, la decisione di fare sciopero, l'accettazione degli accordi?

Nella realtà è evidente che non è così, l'iscrizione a questo o quel sindacato corrisponde di norma all'erogazione di servizi, l'elezione dei delegati RSU nel migliore di casi premia la capacità di tutela individuale a livello di reparto, e in ogni caso si tratta di una rappresentanza "a freddo" di lavoratori atomizzati che si esprimono di  conseguenza come individui fra di loro separati.
Quando, al contrario, si sviluppa una mobilitazione e i lavoratori si esprimono come una comunità di lotta, la rappresentanza formale costituitasi in un periodo di passività è uno strumento generalmente inadeguato nell'espressione dell'effettiva volontà dei lavoratori a meno che non sappia porsi come strumento di questa stessa volontà.
Se oggi il governo è orientato a un ulteriore restringimento delle libertà sindacali gran parte delle responsabilità va ai sindacati concertativi, che hanno fatto del monopolio della rappresentanza e della difesa dei propri interessi di ceto l'obiettivo al quale hanno sacrificato gli interessi e libertà dei lavoratori.
Ancora una volta vale per noi il vecchio detto, accettare i doni del nemico sulla punta della spada.
Sta al sindacalismo di base e di classe, sviluppare in primo luogo sul piano della mobilitazione diretta dei lavoratori, senza dimenticare la necessità di iniziative sul piano legale e di una campagna in generale in  difesa delle libertà, il compito di rilanciare l'iniziativa e di battere sul campo i tentativi liberticidi dell'avversario.

A questo fine è necessaria una capacità nuova di azione unitaria e, nel contempo, di coinvolgimento dei movimenti di opposizione sociale, in particolare quelli per la difesa dei beni comuni  e del diritto al welfare oggi, si pensi solo ai tagli alla sanità appena proposti, sottoposti a un gravissimo attacco.


CUB Piemonte -  luglio 2015