mercoledì 29 luglio 2015

Il fascismo padronale alla FCA Sata Melfi è innanzitutto contro le operaie

Melfi, l’operaia in maternità trasferita a mille chilometri

Da Trevico a Torino. Si chiamava così il film di Ettore Scola e Diego Novelli che negli anni 70 voleva raccontare la vita difficile degli operai emigrati dal Sud e venuti a lavorare a Torino. La parodia di quel film, oggi, potrebbe essere da Melfi a Chivasso. Mille chilometri di distanza non per emigrare in cerca di lavoro ma costretta al trasferimento per ragioni che la Fiom-Cgil e i legali considerano una vera discriminazione.
Quei mille chilometri rappresentano la distanza che l’operaia Giorgia Calamita, di 43 anni, dovrà attraversare, secondo la sua azienda, la Fenice Spa, per prendere servizio nella sua nuova postazione. Un trasferimento improvviso, deciso lo scorso aprile nel pieno di un contenzioso tra Calamita, da poco madre di due bambini, e la società. Che si chiama Fenice ed è del gruppo francese Edf, ma che lavora stabilmente nel gruppo ex Fiat, oggi Fca, nel caso in questione nello stabilimento Sata di Melfi.
Proprio alla Sata, Giorgia Calamita è stata assunta nel 1992 con un contratto di formazione e lavoro che però si trasformerà in un contratto di “impiegata tecnologa (V° livello metalmeccanico) quando passa, senza soluzione di continuità, al gruppo Fenice. Una classica operazione di terziarizzazione delle mansioni, pratica comune nelle aziende italiane e in particolare alla Fiat.
Tutto va bene fino a quando l’operaia non ha i suoi due figli. Prende il congedo obbligatorio ma poi, dal 2009, anno del suo ritorno in produzione, continua a prendere congedi maternità fino a chiedere il part-time che le viene concesso. A questo punto la sua mansione viene dequalificata. Da “tec no lo-ga” viene destinata a mansioni di archiviazione e registrazione del lavoro altrui. Di fronte alle sue proteste e a quelle del sindacato Fiom che la rappresenta – Calamita è molto attiva in fabbrica -l’azienda, secondo i legali della lavoratrice, adotta “un atteggiamento, inutilmente e gratuitamente aggressivo”. Si verificano diversi scontri con affermazioni dispregiative fatte in presenza di altri operai: “Non prendo neppure in considerazione la questione delle sue mansioni visto che Lei è sempre in maternità!”, si sente dire Calamita dal responsabile dell’Unità operativa. Al sindacato che chiede incontri per discutere del problema la risposta è sempre la stessa: la lavoratrice è sempre in maternità quindi è assenteista. Le denunce continue, i 14 volantini affissi in bacheca dalla Fiom, sembrano non servire. Fino a quando il sindacato decide di diffidare l’azienda e la stessa Calamita si rivolge alla Consigliera di Parità della Provincia di Potenza che fissava un incontro per il 24 aprile 2015 disertato dall’azienda. Allo stesso tempo partiva la lettera di trasferimento presso la sede di Chivasso ad oltre 1.000 chilometri con effetto dal 4 maggio 2015.
A quel punto non è restato altro che rivolgersi al Tribunale e rendere pubblica la vicenda sulla quale è stata presentata un’interrogazione parlamentare.
        www.coordinamentonoausterity.org

martedì 21 luglio 2015

ACCORDO DELLA VERGOGNA......

PER IL RITIRO DELLA FIRMA DI USB
DAL TESTO UNICO SULLA RAPPRESENTANZA

Il 23 maggio il Consiglio Nazionale Confederale di USB ha deciso di aderire al Testo Unico sulla Rappresentanza, firmato da CGIL, CISL, UIL e CONFINDUSTRIA il 10 gennaio 2014. Il 3 giugno è stata apposta la firma.
QUESTO ACCORDO È IL PIÙ CORPORATIVO DEL SECONDO DOPOGUERRA:
- stabilisce che quando la maggioranza di una RSU firma un accordo, qualsiasi esso sia, la minoranza non potrà più scioperare contro di esso, a pena di sanzioni economiche e disciplinari per il sindacato e i suoi delegati. Ciò significa che i delegati di USB, laddove – come nella quasi totalità dei casi – sono in minoranza, non potranno più scioperare contro gli accordi firmati dalle RSU maggioritarie di CGIL, CISL, UIL, UGL e autonomi.
- Chi non ha aderito al Testo Unico sulla Rappresentanza sarà invece libero di scioperare ma non potrà più far parte delle RSU e perderà, di conseguenza, le cosiddette AGIBILITÀ SINDACALI: permessi, possibilità di richiedere assemblee retribuite, bacheca sindacale. Ciò, a meno che il sindacato non abbia la forza di costituire, contro l'azienda e i sindacati della RSU, una RSA.
Si tratta perciò di un accordo trappola: o si mantengono le agibilità sindacali in azienda ma si compromette la LIBERTÀ DI SCIOPERO, o si conserva la libertà di lotta ma l'attività sindacale dovrà svolgersi senza le agibilità sindacali.

IL CONSIGLIO NAZIONALE CONFEDERALE DI USB HA RITENUTO PIÙ IMPORTANTE DIFENDERE LE AGIBILITÀ SINDACALI CHE LA LIBERTÀ DI SCIOPERO DIMOSTRANDO DI VOLER COSTRUIRE NON UN SINDACATO DI LOTTA MA UN SINDACATO CONCERTATIVO.

I dirigenti di USB sostengono che sono stati gli iscritti e i delegati del settore privato per primi ad aver richiesto l'adesione al Testo unico. Ma al Consiglio Nazionale USB del Lavoro Privato, riunitosi a Roma il 22 maggio, poche ore prima che il Consiglio Nazionale Confederale prendesse la scellerata decisione di aderire al Testo Unico, la questione non è stata NEMMENO DISCUSSA! Segno inequivocabile della falsità di questa argomentazione.
Dopo aver condannato per un anno e mezzo il Testo Unico sulla Rappresentanza la dirigenza USB ha compiuto una svolta di 180° all'insaputa della grandissima maggioranza del sindacato. Ogni basilare principio di fraterna vita interna proprio di un vero sindacato di classe è stato calpestato da questa dirigenza, che ha voluto imporre questa decisione a tutti i costi.
Gli organi dirigenti di USB dichiarano di volere costruire un sindacato di CLASSE e di MASSA. Hanno scelto la via più comoda e veloce per arrivare ad essere un sindacato di massa: quella di entrare nel circolo dei sindacati concertativi.
La storia del movimento operaio insegna invece come il vero SINDACALISMO DI CLASSE sia nato e cresciuto, ed abbia ottenuto le grandi conquiste per la classe lavoratrice, senza le agibilità sindacali che i dirigenti USB ritengono indispensabili, dimostrando per primi essi di non avere fiducia nei lavoratori e nella lotta.

QUESTA DECISIONE CAMBIERÀ LA NATURA DI USB E CONTRO DI ESSA BISOGNA BATTERSI. È UNA BATTAGLIA IN DIFESA DEL SINDACALISMO DI CLASSE IN USB.
PRETENDIAMO IL RITIRO DELLA FIRMA DAL TESTO UNICO E LA CONVOCAZIONE ENTRO IL 3 OTTOBRE DI UN ATTIVO NAZIONALE APERTO A TUTTI GLI ISCRITTI, DA COMUNICARSI ENTRO IL MESE DI AGOSTO.
IN OGNI CASO CONDURREMO LA NOSTRA BATTAGLIA FINO IN FONDO E INVITIAMO TUTTI I DELEGATI, GLI ISCRITTI, IL CORPO MILITANTE DI USB CHE VOGLIONO COSTRUIRE UN VERO SINDACATO DI CLASSE E NON UN SINDACATO DI LOTTA A PAROLE MA CONCERTATIVO NEI FATTI, AD UNIRSI CON NOI IN QUESTA LOTTA.
Luglio 2015

PER ADERIRE SCRIVERE A: notestounico@gmail.com
Coordinamento iscritti USB contro l’adesione al Testo Unico sulla Rappresentanza

A seguito di un primo incontro avvenuto ai primi di luglio fra alcuni militanti di USB contrari all'adesione al Testo Unico sulla Rappresentanza, abbiamo deciso di redarre questo NUOVO DOCUMENTO, che finalmente è UNICO a livello nazionale. In esso confluiscono i promotori di iniziative analoghe ma fino ad oggi parallele  dal Veneto, da Milano, da Lecco, oltre che il precedente appello qui pubblicato.
Un passo in avanti in questa battaglia cruciale per salvare il sindacalismo di classe in USB e impedire il traghettamento della nostra organizzazione sindacale nell'alveo del sindacalismo di regime.
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FIRMATARI

Piero Favetta – Comune di Genova
Annamaria Rosaspini – Comune di Genova
Brunella Bensi – Comune di Genova
Mariopaolo Sami – Vigili del Fuoco – Genova
Roberto Rinaldi – Vigili del Fuoco – Genova
Federico Menegazzi – Coordinamento Lavoro Privato Trentino
Maria Rosaria Romano – Autoferrotranviere ANM - Napoli
Maria D'Alessandro – Autoferrotranviere ANM - Napoli
Antonio Trimarco – Autoferrotranviere ANM - Napoli
Antonio Barbato – Autoferrotranviere ANM – Napoli
Achille Mastrojanni – Autoferrotranviere ANM – Napoli
Umberto Cesarano – Autoferrotranviere ANM – Napoli
Lama Giuseppe – Autoferrotranviere ANM – Napoli
Antonio Morra – Autoferrotranviere ANM – Napoli
Sergio Romano – EAV – Benevento
Augusto Mancini – Autoferrotranviere ATAC – Roma
Roberto Mazzarello – KME Serravalle Scrivia (Alessandria)
Domenico Travaglini – Fondazione S. Maugeri – Tradate (Varese)
Bruno Springolo – Arka Service – Buttigliera Alta (Torino)
Yenny Gonzalez – Cooperativa Royal – Livorno
Fabio Bertelli – MiBACT – Firenze
Sacha Lenzi – COTRAL spa – Lazio
Stefania Vassura - Corte dei conti Roma
Fabio Cocco – Esecutivo USB Regione Abruzzo
Pia Potenza – MiBACT – Bologna
Luigi Fucchi – Ospedale di Assisi Asl Umbria 1 (Perugia)
Carmine De Lucia – autoferrotranviere – Anm Napoli
Antonio Mammone – Reggia di Venaria – Torino
Veniero Santin – MiBACT – Roma
Fabio Bencivenni – MiBACT – Galleria Estense – Ferrara
Diego Busdon – Vigile del Fuoco – Udine
Serafini Brunella – coop – Civita Castellana (Viterbo)
Carlo Lorenzi – Luxottica – Trento
Sacha Contu – Reggia di Venaria – Torino
Sergio Mattiello – coordinamento provinciale USB Lavoro Privato Trentino
Monica Bresciani – RSA Gruppo Orvea – Trento
Romeo Pasquarelli – Sevel – Atessa (Chieti)
Paolo Cerrone - INAIL – Roma
Giancarlo d'Adda – pensionato – Milano
Luca Cinquegrana – COTRAL – Palombara Sabina (Roma)
Folco Pensotti – bidello scuola – Torino
Daniele Mochi – ATAC – Roma
Cosimo Damiano Spanò – MiBACT – Cattolica di Stilo (Reggio Calabria)
Alfredo Tanzi – Comune di Genova
Albano Antonino – Comune di Genova
Alessandro Varanini – ATAC – Roma
Maria Grazia Spadaro – Addetta Mense – Torino
Marcello Zingale – rappresentante aziendale USB P.I. Ospedale San Paolo – Milano
Franco Casagrande – pensionato (Vigile del fuoco) – Novi Ligure (Alessandria)
Antonino Lania – ANMIL – Torino
Orietta Totti – RSU Ulss15 Altapadovana – Padova
Luca Marchi – RSU Ikea – Corsico (Milano)
Juri Alessandro Brocchieri – autoferrotranviere KM – Cremona
Anna Manfredi – impiegata USB – Cremona
Marco Florio – insegnante – Bologna
Loredana Agresti – insegnante – Bologna
Mauro Sanson – RSU Ikea – Carugate (Milano)
Stefano Raccuglia – Agenzia delle Entrate – Verona
Diego Peverini – Autoferrotranviere – Umbria Mobilità – Terni
Sara Costantino – INPS – Bergamo
Katia Marcoccia – insegnante – Bologna
Giuseppe Raiola – RSU Scuola – Reggio Emilia
Maria Grazia Punginelli – RSU Comune - Casalecchio di Reno (Bologna)
Marco Bellicano – Ferroviere – Genova
Mariangela Coniglione - RSU IPAB Mariutto – Venezia
Antonella Salviato - RSU IPAB Mariutto – Venezia
Manfrotto Maria Assunta - Delegata IPAB Mariutto – Venezia
Antonello Cristina - delegata ulss 15 altapadovana – Padova
Giuseppe Terranova - Insegnante RSU di Montecchio Emilia – Reggio Emilia
Fulvio Conti - pubblico impiego - Campi Bisenzio (Firenze)
Antonio Fiore - Amm.vo RSU I.C. di Luzzara - Reggio Emilia
Anna Pisani - insegnante precaria - Bologna
Gianni Cusenza - RSU Scuola - Bologna
Tamara Napolitano - autoferrotranviere CTT Nord - Livorno
Paola Paracuollo - insegnante - Reggio Emilia
Silvia Scarpellini - personale ATA – Roma
Fabio Guidetti - ATAC - Roma
Raffaele De Pietro – ass. amm.vo precario c/o istituto comprensivo di Luzzara – Reggio Emila
Giovanni Boscolo – RSA ACTV – Venezia
Francesco Ragno – RSA ACTV – Venezia
Giacomo Milicia – RSU AUSL – Reggio Emilia
Ciro Di Cristo – Ass. Amm.vo Azienda USL – Reggio Emilia
Stefano Cigni – per la RSA AVIAPARTNER – Venezia
Fabio Carcich – coordinatore RSA ACTV – Venezia
Gianluca Staffoni – educatore cooperative sociali – Bologna
Maurizio Griggio – RSA BusItalia Veneto – Padova
Gianna Griggio - RSA BusItalia Veneto - Padova
Luisa Tiozzo - RSA Fond. Servizi alla Persona - Venezia
Paris Andrea - RSA Fond. Servizi alla Persona - Venezia
Francesco Masiero - RSA Coop. Ancora - Venezia
Franco Rossi - Atac - Roma
Ivo Fornaciari - Pensionato ex autoferro - Reggio Emilia
Diego Rosan - RSA ACTV - Venezia
Adriano Cortese - RSA ACTV - Venezia
Mauro Luchetta - RSA Casinò - Venezia
Michele Cirinesi - disoccupato - Bologna
Enrico Scatto- RSU/RLS di Sistemi Territoriali - Padova
Nicola La Forgia - RSA ACTV - Venezia
Anna Montano - RSU Enti Locali - Reggio Emilia
Maurizio Savino - Enti Locali - Reggio Emilia
Pasquale Tucci – Esecutivo conf. provinciale - Reggio Emilia
Roberto Donis – RSA Fond. S. Maugeri - Veruno (Novara)
Barbara Ferrario – Fond. S. Maugeri – Tradate (Varese)
Paola Squizzato – Fond. S. Maugeri – Tradate (Varese)
Manuela Marocco – Fond. S. Maugeri – Tradate (Varese)
Emanuela Fattore – Fond. S. Maugeri – Tradate (Varese)
Salvatore Caligiuri – Fond. S. Maugeri – Tradate (Varese)
Patrizia Monti – Fond. S. Maugeri – Tradate (Varese)
Colombina Rusconi – Fond. S. Maugeri – Tradate (Varese)
Deborah Pagani – Fond. S. Maugeri – Tradate (Varese)
Marilena Gatti – Fond. S. Maugeri – Tradate (Varese)
Gabriella Cossia – Fond. S. Maugeri – Tradate (Varese)
Monica Codato – Fond. S. Maugeri – Tradate (Varese)
Serena Sandri – Fond. S. Maugeri – Tradate (Varese)
Maria Giovanna Rampoldi – Fond. S. Maugeri – Tradate (Varese)
Emanuele Visciglia – RSU FOMAS – Cernusco (Lecco)
Paolo Catalano – RSU Finder Pompe – Lecco
Roberta D'Agostino – RSU IHI CSI – Lecco
Sebastiano Caroppa – RSA FOMAS – (Osnago) Lecco
Giuseppe Coletti – USB Lavoro Privato – Lecco
Paolo Spinelli – Sevel – Atessa (Chieti)
Antonio Lullo – Sevel – Atessa (Chieti)
Fabrizio Dumas – Usb Lavoro Privato – Treviso
Luciano Pasetti – RSU Carrefour – Milano
Giordano Limonta – RSU Fomas – Cernusco (Lecco)
Antonella Zappia – RSA Cogess – Monza
Fulvio Beato - magazziniere deposito farmaceutico - Caserta
Salvego Efren - coordinatore RSU MOM - Treviso
Gian Franco Camboni - insegnante - Ozieri (Sassari)
Salvatore La Ferrara - Comune - Napoli
Barbara Morleo - RSU Scuola - Bologna
Luca Favaro - RSU MoM - Treviso
Carlo Montanari - Cerpa Italia Onlus - Reggio Emilia
Sisinnio Bitti - pensionato - Olbia
Giuseppa Vizzini - insegnante - Reggio Emilia
Vito Martino - vigile del fuoco - Genova
Fausto Marchesi - pensionato - Milano
Gianfranco Besenzoni - USB Lavoro Privato - Milano

Luigi Carella - pensionato - Milano

giovedì 16 luglio 2015

Amianto: intervista a Alberto Prunetti Clash City Workers

Pubblichiamo un'intervista che abbiamo fatto ad Alberto Prunetti, autore del bellissimo libro “Amianto” (qui una recensione di Valerio Evangelisti ).



Alberto, nel suo libro, raccontando la storia del padre assassinato dall'amianto ci racconta un pezzo di storia della classe operaia italiana e i cambiamenti avvenuti negli ultimi decenni.
E così è stato anche in questa intervista, dove partendo dalla vergognosa sentenza della Cassazione sul processo Eternit si è arrivato a parlare di Jobs Act, di Rojava, di come sui luoghi di lavoro ci ammazzano e succhiano ogni energia vitale in maniera sistematica e organizzata e di tanto altro.
Una chiara indicazione emerge da questa chiacchierata e più in generale da questa vicenda: non dobbiamo dimenticarci che lottare contro questo stato di cose presente è una maniera anche per preservare le nostre vite e che niente ci viene gentilmente concesso dai padroni che nella lotta di classe sono disposti ad impiegare qualsiasi tipo di arma, anche quelle chimiche.
Da quanto tempo è noto il fenomeno dell'amianto? Che tipo di effetti ha?
In questi giorni i giornali hanno riprodotto una sentenza del tribunale di Torino che denunciava la pericolosità dell’amianto per la salute dei lavoratori. Era una sentenza del 1906. Il fenomeno ovviamente era anteriore. Comunque già ai primi del secolo scorso la letteratura medica cominciava a denunciare la pericolosità del minerale. Negli anni Settanta, c’erano ampie prove scientifiche al riguardo. I tre principali e consolidati pericoli per la salute umana, correlati all’esposizione, professionale e ambientale, sono l’asbestosi, il tumore polmonare e il mesotelioma. Quest’ultimo è un tumore rarissimo ma che colpisce con più frequenza nei siti dove si lavora amianto, o nei bacini industriali che facevano uso di amianto (ad esempio, nei pressi di raffinerie e acciaierie). L’asbestosi è simile alla silicosi e spesso dà luogo a gravi difficoltà respiratorie, con cui si riesce anche a convivere, nonostante tutto. Nei casi più gravi porta però alla morte per soffocamento.  E’ tipica dei lavoratori che estraevano o manipolavano l’amianto. Il tumore polmonare è frequente in quei lavoratori che oltre all’amianto poi sono stati a contatto con altri agenti inquinanti. Probabilmente mio padre, che è morto per tumore polmonare dopo 15 anni di esposizione professionale all’amianto, ha patito la sinergia tra fibre di amianto incistate e il benzene e altri inquinanti (gas di saldatura, metalli pesanti) respirati in raffineria.
Raccontando la storia di tuo padre, sei riuscito a raccontare molti degli aspetti della vita della fabbrica e dei suoi cambiamenti dagli anni'60 ad oggi, dalle ristrutturazioni alle esternalizzazioni. Come, secondo te, questi cambiamenti hanno influito sul fenomeno dell'avvelenamento sistematico degli operai?
E’ chiaro che la riduzione della conflittualità operaia e la dismissione industriale da un lato, assieme alla delocalizzazione e al sistema della “somministrazione” interinale dei lavoratori “esterni” dall’altro, hanno peggiorato le cose. I lavoratori esternalizzati e i trasfertisti tendono a essere più esposti a malattie professionali perché i padroni fanno fare il lavoro sporco alle ditte in subappalto, così che se qualcuno si fa male o si ammala, non saranno loro a pagare. Al peggio, il rischio va sulla ditta appaltatrice. Inoltre la crisi e la dismissione industriale (o la riconversione con delocalizzazione verso mercati con costo del lavoro più basso e normative sulla sicurezza e sull’ambiente meno stringenti) implicavano anche una scarsa manutenzione degli impianti, che diventano più pericolosi. Mio padre si lamentava del fatto che gli impianti industriali in cui lavorava a fine carriera nei primi anni Novanta erano vecchi e logori, pieni di “pezze”, rispetto agli stabilimenti di fine anni Sessanta in cui aveva cominciato a saldare da giovane. Inoltre i colleghi neo-assunti ormai arrivavano dalle ditte interinali che facevano caporalato o avevano comunque contratti brevi e questi ragazzi tendevano a non dichiarare i problemi di sicurezza perché rischiavano di essere licenziati. O meglio: rischiavano di non vedersi rinnovato il contrattino a tempo determinato. Anche la fine delle grandi mobilitazioni operaie degli anni Settanta produce un aumento del rischio: se il padrone si sente il fiato sul collo dei sindacati e degli operai, è costretto a tenere alti i salari e a occuparsi di sicurezza, altrimenti pacche sulle spalle e tanti saluti. D’altro canto va anche detto che negli anni Settanta si tendeva a monetarizzare il rischio: ovvero, fai un lavoro usurante? Chiedi più soldi in busta paga. Ma fallo uguale.
Come si sono organizzati i lavoratori, anche in maniera individuale, per combattere la nocività e quali sono stati i momenti più alti della lotta? Il sindacato è stato sempre al loro fianco nella denuncia delle condizioni di lavoro?
Riguardo al tema dell’amianto? Direi che a Casale sono stati i pionieri della lotta contro l’amianto, perché il problema da loro era letale. Là il motore della vertenza è stato fatto girare per 30 anni da due sindacalisti della CGIL, Bruno Pesce e Nicola Pondrano, che sono ancora adesso in prima fila. Bruno e Nicola hanno incarnato lo spirito migliore del sindacalismo. Se tutti i sindacalisti fossero come loro, sarebbe un altro paio di maniche. Pian piano, assieme ai familiari delle vittime, sono riusciti a mobilitare tutta la città e a portare il tema al centro dell’opinione pubblica. Tra i momenti più alti della lotta penso vada ricordata la notte in cui i cittadini scoprirono che il proprietario dell’Eternit stava convincendo il comune a uscire come parte civile dal processo: i casalesi invasero il municipio e ottennero di non barattare quattro spiccioli con la giustizia. Ovviamente la giustizia è di là da venire, ma questa è colpa delle istituzioni. Quanto al sindacato, ti direi che spesso su questo problema in passato è rimasto immobile e solo alcuni sindacalisti, per spirito personale, senso di giustizia e impegno politico, hanno in maniera individuale lottato a fondo, tirandosi qualche volta dietro il sindacato per la giacchetta. Alla Breda di Pistoia ricorderei il caso di Marco Vettori, lui stesso morto per un tumore, che ha dedicato anni della sua vita a combattere e a mobilitare gli operai che costruivano i vagoni ferroviari, infestati d’amianto. D’altro canto, la logica del sindacato degli anni Settanta era volta innanzitutto a difendere il posto di lavoro e gli stessi Pesce e Pondrano, quando chiedevano la chiusura degli stabilimenti Eternit di Casale, avevano spesso il sindacato contro, sindacato che rivendicava prima di tutto l’occupazione e i posti di lavoro. E’ un vecchio problema che torna spesso a galla. Aggiungiamo anche che non sono mancati sindacalisti pagati o “infiltrati” dai vertici aziendali, come è emerso dalle carte delle inchieste.
Come si lega la lotta alle nocività alla lotta per il diritto al lavoro e per la riduzione dell’orario di lavoro?
Non sono problemi scissi gli uni dagli altri. Bisognerebbe trovare occupazione facendo lavori di bonifica che devono essere fatti pagare a chi ha inquinato. Il problema è che il mantra della politica è che “non ci sono i soldi per fare le bonifiche”, ma poi la giustizia prescrive chi inquina. La giustizia ovviamente non è uguale per tutti, difende il sistema di potere e gli assetti di classe in atto. Lo diceva una vecchia talpa tanti anni fa e non mi sembra che gli eventi di oggi possano smentirla. Del resto, se nessuno presenta mai il conto ai padroni, è difficile fare bonifiche. Ormai anche gli orari di lavoro tendono a aumentare, invece che a ridursi, come cresce l’età dei lavoratori. Soprattutto chi lavora nella grande industria, invecchia male. Così ci si espone non solo a nocività ma anche a rischi e pericoli. Pensiamo a quanti lavoratori muoiono a pochi metri dalla pensione. Una riduzione degli orari a parità di salario e dell’età pensionabile potrebbe ridurre i morti e gli infortuni sul lavoro, con un risparmio sulle spese sanitarie e sugli indennizzi Inail. Ma al solito il padronato si ferma all’economia e alla contabilità meccanica sulla produttività estratta dalle ore lavorate… insomma, le cose vanno in senso opposto a come dovrebbero andare. Lo prova il fatto che mentre scrivo viene approvato il Jobs Act, che sarà l’ennesimo colpo ai lavoratori, la medicina amara da ingoiare che non fa bene, ma ti avvelena.
Qual è stato il ruolo della politica in passato? E qual è adesso, con Renzi che in questi giorni ha incontrato i comitati, proprio nello stesso periodo in cui è il principale in cui si sta impegnando in un attacco senza precedenti ai diritti della classe lavoratrice?
Che devo dire? A lungo nella politica istituzionale e di palazzo ho visto una forma di rappresentazione fittizia delle istanze popolari, un loro travisamento spettacolare, una distrazione degli obiettivi all’ordine del giorno e un tradimento di ogni mandato ricevuto o usurpato dal basso. Detto questo, non mi sembra che le cose siano cambiate granché. Cambiano le forme, scompaiono gli abiti formali, arrivano le slide e le camicie bianche, ma il nuovo finisce qui e la sostanza è questa: tagliare i diritti, ristrutturare, rottamare le conquiste ottenute in passato con il conflitto. Ben altra cosa è la politica fatta dal basso, dai comitati, dai gruppi di lavoratori e cittadini. Il problema è che spesso questa politica dal basso viene esautorata o criminalizzata, o irrisa con sentenze come quella del caso Eternit. Pensa che siamo arrivati al Palazzaccio della Cassazione in un silenzio assordante della politica. Poi il giorno dopo i politici di professione erano tutti a piangere accanto ai cittadini di Casale. Una coincidenza singolare che può far mal pensare, no? Jobs act da una parte e vittime del lavoro dall’altra. Un colpo al cerchio, uno alla botte, nello stile fanfaniano. L’attacco ai diritti dei lavoratori con il Jobs Act è evidente. Quanto alle promesse ai familiari, appunto sono per ora le promesse del potere. I fatti sono un’altra cosa. Attendiamo e poi faremo i conti.

Quel che è certo, è che prima si distruggono le difese dei lavoratori a tempo indeterminato (vedi l’art. 18), facendole passare per privilegi agli occhi di chi ne escluso; poi si alimenta il lavoro precario senza garantire neanche un reddito sociale minimo; infine si lancia il messaggio che gli imprenditori qui in Italia possono inquinare e far ammalare i lavoratori e poi andarsene senza ripulire e farla franca… la  lotta di classe insomma è tutta da un lato solo, quello del Capitale. Chissà, forse è un modo per far ripartire gli investimenti:  non serve più delocalizzare, non ci sarà bisogno di andare in Romania o in Corea del sud, perché avremo in Italia le stesse condizioni di sfruttamento che permettono alle imprese di prosperare sulla pelle e sulla salute di cittadini e lavoratori.
L'amianto e gli altri materiali killer, sono secondo te, degli incidenti di percorso nella storia dello sviluppo economico italiano (e in più generale capitalistico) o sono connaturati a questo modello economico? Ci saranno nuove "Eternit"?
L’amianto non è un effetto collaterale, un errore marginale: è un elemento sistemico, una cartina al tornasole di quel cancro chiamato capitalismo. E’ qui che si vede che idea di  responsabilità sociale appartiene a chi ha dedicato la propria esistenza all’estrazione di profitto dai lavoratori… Penso anche agli applausi ai vertici della Thyssen, incriminati per la morte degli operai torinesi, durante una riunione di imprenditori (che strazio sentire le mamme di quegli operai e che forza in quelle donne), penso alla necessità per i padroni di fare “filantrocapitalismo”, di fare white-washing, per sbiancarsi l’immagine, cosa in cui eccelle anche l’ex-padrone della Eternit. Penso alla periodicità con cui i disastri ambientali si ripetono (Seveso, Casale, Cengio, Bhopal, Chernobyl e poi Fukushima e i disastri petroliferi…). Il capitalismo inoltre è nocivo nel senso che spinge i lavoratori fuori dal loro equilibrio, li reifica, li traina fuori dall’umanità, fa di essi stessi una merce. Ma un uomo non è una merce. Fatto merce, il suo equilibrio cellulare si spinge fuori dalla dimensione dell’umano, produce una metastasi di cellule che non sono più organismo e diventano tumore. Ovviamente non sto parlando in termini medici, la mia è una metafora, ma guardate cosa diventa un lavoratore, non uno che vive di sfruttamento del lavoro altrui, ma uno costretto a vendere la propria fatica e il proprio sudore, la propria manodopera, manuale o intellettuale: dopo 35 anni di estrazione di profitto da parte del suo datore di lavoro, la vita se ne va, si prosciuga, rimane la carcassa dell’uomo che era. Andate in fondo al mio libro e guardate le foto di mio padre, le tessere d’ingresso in fabbrica, guardate quale trasformazione... Quanto alle sostanze pericolose, il principio di precauzione non si associa all’etica capitalista. Viene prima il profitto, costi quel che costi, in termini di vite umane o di inquinamento. Continueranno a inventare nuovi materiali che daranno a pochi reddito immediato e che produrranno effetti devastanti nelle vite del 99 percento… del resto sono l’uno per cento ma hanno il coltello dalla parte del manico. Quindi, sì, ci saranno altre Eternit, mentre il disastro della Eternit storica continuerà a lungo a produrre scie di lutti. Per qualche decennio almeno.

Per molti lavoratori che hanno vissuto a stretto contatto con quelli che tu chiami "draghi", il destino è comune: dopo essere stati avvelenati insieme ai loro familiari e concittadini, vengono scaricati e trattati quasi come eco-criminali perché vogliono difendere il loro posto di lavoro.
Basti pensare ai lavoratori dell'Ilva di Taranto, della Lucchini di Piombino e tanti altri. Cosa pensi di questa situazione?
E’ una situazione comune a tante realtà.. stanno riducendo le dimensioni della grande industria verso un modello di sviluppo industriale più ramificato. Al tempo stesso, ricattano la gente, ora che cala l’occupazione, a ingoiare ogni tipo di veleno. Pensa che anche quando la Fiat ha comprato la Crysler negli Stati Uniti ha chiesto come garanzia che il sindacato seppellisse ogni forma di ostilità.
Lo scenario poi si complica con l’arrivo di nuovi imprenditori di paesi BRIC. Tipo gli indiani che premono per collocare il loro acciaio in Europa, ma anche gli algerini interessati alla siderurgia piombinese. Non so dirti come sarà il futuro, se ci sarà conflitto o resa. Io credo che se non ci sarà conflitto, la gente in ogni caso perderà anche il pane, perché il padronato non regala nulla. Possono criminalizzare i movimenti, possono dirci di mangiare brioches, possono alimentare la guerra tra poveri, dicendo che il problema sono i lavoratori migranti. Le tentano tutte, ovviamente, sono forme di distrazione di massa. Bisogna rispondere con il conflitto e con idee nuove. Il problema poi è che nelle grandi industrie petrolchimiche e metalmeccaniche non si possono nemmeno facilmente pensare delle forme di autogestione come le fabbriche occupate, che si adattano meglio alle piccole e medie imprese. Quella però è una strada da seguire in altri contesti (penso al tessile, per esempio) e bisognerà guardare a quello che è successo in Argentina. Tra l’altro sono formule che funzionano ancora adesso e anzi si espandono.
Insomma, non ho una sfera magica, non so cosa accadrà.  So che bisogna ripartire sempre da capo, magari da un momento all’altro ci saranno delle fioriture inaspettate. Se pensi a un nuovo maggio, come quello francese, non devi guardare a Parigi ma a Rojava o al Chiapas. O magari al Brasile, alla Turchia e forse un giorno all’India. Non è esotismo rivoluzionario: hanno interconnesso e globalizzato il capitale, sono interconnesse anche le lotte, le proteste, le mobilitazioni.

Cosa dovrebbero fare secondo te i lavoratori ora, oltre a cercare nei tribunali di far pagare qualcosa a questi criminali?
Chi combatte oggi perché non si compia uno scempio ambientale in futuro a ragione può anche rifiutarsi di seguire le vie della giustizia per prendere quelle della mobilitazione, ma chi combatte oggi per un disastro avvenuto nel passato ha poche altre vie da percorrere a parte quella della giustizia istituzionale. Che però come abbiamo visto è un bel muro tirato su a difesa delle classi imprenditoriali. Eppure bisogna tentarle tutte, perché se non fosse così il padronato avrebbe davanti praterie sul fronte dell’inquinamento e dello sterminio degli operai. Facciamo pressione sulla giustizia istituzionale e intanto pratichiamo la giustizia sociale. La giustizia sociale si costruisce dal basso nelle vertenze, nelle mobilitazioni: è il mutuo appoggio, è la solidarietà tra lavoratori, tra i familiari delle vittime dell’amianto che vengono a ogni appuntamento a stringersi attorno alle gente di casale: dal Brasile, dal Regno Unito, dalla Svizzera, dalla Francia, dalla Spagna, anche dal Giappone. La vera giustizia sociale sta nella lotta, nel percorso che le vedove di Casale, che i figli dei lavoratori uccisi dal profitto fanno per un’istanza di giustizia. Perché il nome del padrone sia sulla bocca di tutti, come responsabile di morte e inquinamento. Questo è un risultato già raggiunto. Il logo Eternit è ormai associato a un crimine tremendo, non importa se la Cassazione ha prescritto, pur ammettendo la colpevolezza dell’imputato. Con quella sentenza, inoltre, almeno un altro risultato è stato raggiunto. Abbiamo smascherato la giustizia. Le abbiamo tolto la benda dagli occhi e l’abbiamo vista sorridere al padrone. L’abbiamo costretta a dichiararsi ingiusta.

mercoledì 15 luglio 2015

Corriere della Sera MILANO : Amianto, Pirelli

Pirelli:

 11 condanne per omicidio colposo aggravato

Pene tra i tre e i sette anni. Tra i condannati anche Guido Veronesi, fratello dell’oncologo Umberto. Ventiquattro gli operai morti o ammalati per tumore


Si è concluso con 11 condanne a pene tra i 3 e i 7 anni e 8 mesi di reclusione il processo a carico di altrettanti ex dirigenti della Pirelli imputati in relazione a 24 casi di operai morti o che si sono ammalati di forme tumorali a causa dell’amianto, dopo avere lavorato negli stabilimenti milanesi della Pirelli. Gli imputati rispondono a vario titolo di cooperazione in omicidio colposo aggravato e in lesioni gravissime. Sono stati tutti membri del consiglio di amministrazione della Pirelli tra il 1979 e il 1989. La sentenza è stata emessa dai giudici della sesta sezione penale, che hanno sostanzialmente accolto la ricostruzione del pm Maurizio Ascione secondo la quale gli operai sono morti a causa dell’inalazione di fibre di amianto nelle fabbriche di via Ripamonti e viale Sarca. Il pm aveva chiesto la condanna a pene fino a 8 anni di carcere per 8 ex dirigenti e l’assoluzione per altri tre.

Mesotelioma pleurico
Il collegio ha condannato tutti gli imputati anche al risarcimento delle parti civili in solido con il responsabile civile Pirelli Tyre spa, disponendo una provvisionale di anticipo sulla quantificazione da stabilire in sede civile di 520mila euro. Secondo il capo di imputazione formulato dal pm Giulio Benedetti inizialmente titolare del fascicolo, gli imputati «per imprudenza, negligenza, imperizia e in violazione della normativa sulla sicurezza del lavoro, in particolare il dpr 303/56», avrebbero causato «la morte per mesotelioma pleurico o lesioni gravissime ai propri dipendenti per mesoteliomi e asbestosi pleuriche». Secondo una consulenza svolta dall’Asl che ha evitato un’iniziale richiesta di archiviazione, infatti, gli operai che poi si sono ammalati rimanevano «esposti per tutta la giornata lavorativa e senza l’adozione di adeguati sistemi di aspirazione o protezione individuale alle fibre di amianto aerodisperse durante l’attività lavorativa svolta». E questo perché gli imputati avrebbero omesso di installare sistemi di aspirazione e raccoglimento polveri per proteggerli, quando allora l’amianto era «presente in varie forme nel talco, negli scambiatori di calore, nelle postazioni di lavoro, nei locali di servizio (centrale termica e per la produzione del vapore, nei sotto servizi (centraline e rete di distribuzione sotterranee dove correvano anche le derivazioni elettriche), nei coibenti con presenza di amianto in percentuali variabili quali le corte, le trecce, le coperte e le guarnizioni», oltre a essere «utilizzato come isolante termico e coibente per le tubazioni, nonché per la produzione di pneumatico». Quando Benedetti ha cambiato ufficio, il fascicolo è stato ereditato da Ascione che ha mantenuto sostanzialmente l’impostazione accusatoria del suo predecessore, ancorandola però alla più recente letteratura scientifica sulla correlazione tra esposizione ad amianto e tempi di sviluppo della malattia.

Nessuna accidentalità
In sede di udienza preliminare erano state archiviate tutte le imputazioni relative alla violazione delle norme di sicurezza sul lavoro, essendo il reato ormai prescritto, ma il processo ha preso il via davanti al giudice Raffaele Martorelli per i capi d’accusa più gravi. Nella sua requisitoria, il pm aveva sottolineato che dal processo è emerso un «quadro di profondo radicamento nel tempo e nello spazio di una situazione di pericolo che, in quanto tale, non poteva presentare carattere di accidentalità ed essere gestita nell’opera minuta e quotidiana di direttori di stabilimento pro tempore». Secondo Ascione, la presenza della sostanza pericolosa «avrebbe reso necessario un intervento strutturale e strategico in quanto la scelta di politica dell’impresa non poteva fare capo a chi si trovava a gestire il quotidiano». «Che vi fosse consapevolezza sulla questione amianto - ha aggiunto il pm - lo abbiamo potuto apprendere grandemente da una serie enorme di dati su come venivano gestiti quegli stabilimenti. La Pirelli, in quanto datore di lavoro, avrebbe dovuto adottare e pretendere che venissero adottate le misure per prevenire il rischio di pregiudizio per la salute del lavoratore».

Le provvisionali
Mercoledì 15 luglio, dunque, la condanna più alta è stata inflitta a Luciano Isola, consigliere dal 1980 al 1986, condannato a 7 anni e 8 mesi, quella più lieve ai tre ex componenti del consiglio di amministrazione per i quali Ascione aveva chiesto l’assoluzione, ovvero Gabriele Battaglioli, Carlo Pedone e Roberto Picco. Condannato a 4 anni e 8 mesi di carcere Ludovico Grandi, amministratore delegato del gruppo fino al 1984; a 6 anni e 8 mesi Giorgio Sierra, ex amministratore delegato Pirelli ed ex presidente dell’Associazione italiana per la ricerca sul cancro, e a Guido Veronesi, fratello dell’oncologo Umberto. Nel dettaglio, è stata disposta una provvisionale immediatamente esecutiva di 300 mila euro per l’Inail, di 100mila euro per ciascuno dei due eredi di un ex operaio deceduto e di 20mila euro ciascuna per Medicina democratica e Associazione italiana esposti all’amianto. I familiari delle altre vittime avevano già ritirato la costituzione di parte civile dopo aver raggiunto con Pirelli un accordo economico per un risarcimento stragiudiziale. Nelle settimane passate, altri processi a Milano su morti per amianto (Enel Turbigo e Franco Tosi) si erano conclusi con l’assoluzione di tutti gli imputati. Le motivazioni saranno depositate entro 90 giorni.
Gli avvocati: «Faremo appello»
«Prendiamo atto con rammarico dell’odierna sentenza di primo grado e aspettiamo di leggere le motivazioni non appena saranno depositate. Sulla base delle evidenze scientifiche a oggi disponibili emerse nel corso della fase dibattimentale del processo, siamo certi della correttezza dell’operato dei nostri assistiti per i fatti contestati risalenti a oltre 25 anni fa, e presenteremo impugnazione in appello». Lo dichiarano gli avvocati difensori di Pirelli e degli ex dirigenti Pirelli condannati dal tribunale, in forza all’azienda negli anni Ottanta.